Martedì 18 dicembre. Oggi. Il Napoli si sveglia a 8 punti dalla Juve, stasera potrebbe averne addirittura dieci. De Laurentiis e Mazzarri hanno il coraggio di gettare le maschere? Presidente e allenatore, allegramente separati nel club, arrivano insieme sul ciglio del burrone. Possono riparare una stagione o mandarla in pezzi, recuperare la coesione dei giocatori o lasciarli allo sbando, restituire il Napoli al rispetto del calcio italiano o servirlo in pasto alle sue iene. I peggiori mercanti sperano di portar via i migliori, Cavani fra questi. Tra le due prospettive così distanti, c’è un confine sottile come una parola. Verità. De Laurentiis e Mazzarri hanno il coraggio di sbattersela in faccia per ripartire insieme? Magari fino a giugno? La sconfitta con il Bologna è la seconda, simile alla prima con l’Inter. Un tempo regalato agli avversari per inferiorità tattica e un altro bruciato nella speranza di una rimonta. Ma dove la gara è finita, cominciava una farsa. De Laurentiis e Mazzarri si sono lasciati secondo consuetudini ormai note. Nemici come prima. Si può leggere nei loro pensieri? Proviamo. Il presidente non vede l’ora che termini la stagione per riaprirne un’altra, magari un intero ciclo, su facce nuove e mai più corrucciate. L’allenatore che termini la serie A per staccarsi dal Napoli, fuggire da questa che considera una gabbia dorata, volare altrove con la migliore immagine possibile. Nessuno dei due ha quindi interesse a scambiare la verità. Se pensano questo, se non gettano via la maschera dell’ipocrisia, comincino a valutare i costi a metà percorso. Sono tutt’e due in bilico nell’opinione dei tifosi. De Laurentiis è un presidente ammirato, invidiato, odiato dai suoi colleghi perché, almeno lui, non ha problemi di bilanci. Entra in banca da padrone. Gli altri, al vertice di società in affanno, sono sotto tiro. Di qua i debiti, di là i tifosi. Nella morsa un club non ha neanche mantenuto l’impegno preso con un istituto di credito di cedere in Inghilterra il suo miglior giocatore. Anche De Laurentiis appare con dei limiti: s’illude di saperne una in più degli altri, ne sa invece quanto Galliani se questi diventasse produttore di film. Si è giocato tutti i meriti del colpo Cavani, pagando 12 milioni per Vargas. Da allora è in croce: perdona gli errori più pacchiani di mercato da altri commessi nella sua società. L’elenco degli acquisti negli ultimi tre anni è raggelante. Sull’altro fronte c’è Mazzarri. Solo la sua claque gli dice che è il genio del calcio in terra. È un ottimo professionista che, come ovunque accade nei lunghi rapporti, scopre adesso i limiti: ama il suo modulo e se stesso più delle vittorie. Crede ormai troppo nella difesa a tre, nei due esterni, nel centrocampo di soli due mediani, e nel pirotecnico terzetto offensivo: un congegno che è stato micidiale e l’ha reso famoso, ma che ora non sa più smontare e rimontare. Ancora peggio se ha uomini stanchi come Maggio, fuori ruolo come Zuniga, voluminosi come Pandev, discontinui come Inler e Dzemaili. Se si ostina a regalare i primi tempi chiedendo poi a Cavani, Hamsik, Insigne rimonte disperate e a volte spettacolari, ma nelle ultime due gare fallite. Ha puntato in agosto su una difesa a tre che oggi può dissolversi tutta: Aronica è al porto in attesa del piroscafo per Palermo, Campagnaro è già con la testa sull’A1 in direzione Inter, Cannavaro chissà come se la cava. Di lui si sa tutto da giugno: Gianello parla e sparla da un anno, è stato fatto qualcosa? Mazzarri è formidabile nell’addestramento, realizza prodigi, perché non ha migliorato Fernandez oggi unico sostituto di Cannavaro? Filtrano voci: ce l’ha con la squadra. È deluso. In tv invece elogia e difende. Se vero, urli negli spogliatoi: ecco dove portano la politica degli inamovibili, il criterio di assegnare il posto fisso, condannare altri al più dolente precariato. È ancora possibile rimettere il Napoli di Cavani, Hamsik e Insigne in pista. Ma tutti devono rinunciare a qualcosa: i giocatori al posto sicuro, Mazzarri all’idea di aver scoperto il modulo magico, De Laurentiis all’illusione che non decidere sia la migliore delle decisioni possibili.
Fonte: La Repubblica
La Redazione
L.D.M.
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