Ogni giorno c’è una supplica. Che il presidente del Napoli trasferisca in Spagna, ma subito ed a prezzi stracciati, il figlio, fratello, cugino, amico Edinson, il mistico Edinson, che è nato laggiù sognando di raggiungere attraverso Napoli finalmente squadra e terra promesse, il Real e Madrid. L’Uruguay è bagnato dal Guaranì, che gli dà il nome. È il leggendario “grande fiume degli uccelli colorati”. Se vedete stormi di volatili variopinti sul Golfo non pensate ad una nuova migrazione di mezzo giugno, deviateli subito verso Castel Volturno. Cercano il Napoli, c’è posta urgente per il presidente. Ma può uno dei più grandi calciatori del momento affidare destino, interessi, impegni sanciti da contratto ad una così pittoresca folla di commedianti? Quella del 2012 sarà ricordata come la primavera dell’ipocrisia. Si leggono scialbe storie di calcio spergiuro. Ma è significativa la reazione della città. Un sereno sdegno ha accompagnato il misterioso passaggio di Mazzarri all’Inter. Con l’amarezza dei disillusi, i tifosi assistono ora alle giravolte di un campione da 104 gol in tre stagioni. Due vicende malinconiche mitigano i deliri della vittoria e la febbre dei risultati. Il calcio non è fatto solo di gol, anche di persone. E Mazzarri e Cavani, incontestabili nel bilancio tecnico, hanno sprecato un patrimonio di simpatie e popolarità. Come in politica, la comunicazione è oggi così veloce e delicata da demolire come boomerang personaggi e meriti consolidati sul campo e nel tempo. Un allenatore di grido e un campione dimostrano quanto sia complesso gestire se stessi, più di una squadra e di una partita: già, niente è più difficile che saper vincere. Mazzarri ha allungato i termini di un annuncio, il più scontato addio, inventando la sfida al primato-punti del Napoli di Maradona. Si è dato altre due settimane per essere al centro dei giochi di mercato. Questo hanno pensato i tifosi dopo la sua ingenua confessione: dall’inizio del campionato aveva deciso di andar via. E ha dato davvero il massimo, temono adesso i tifosi idealisti, se aveva nella testa una squadra da dirigere e un’altra da cercare? Una frustata gelida l’avrà provata ieri Mazzarri sulla schiena, leggendo il messaggio di Benitez: «Avanti Insigne così, bravo». Ha visto come guidava malconcio l’Italia Under 21 verso la finale europea di domani sera con la Spagna. Un genio dell’assist. Contro l’Olanda, giocate da piccola star internazionale. Per Mazzarri era «il ragazzo che stiamo aiutando a crescere». Bontà sua. Non gli ha sempre reso giustizia, preferendo a volte un Pandev sbandato. Non l’ha impiegato al meglio, obbligandolo a rientri di 70 metri, laddove con Zeman a Pescara e con Mangia in nazionale Insigne fa esplodere il suo talento negli ultimi 30, e lì è pirotecnico. Mai un gioco flessibile per inserirvi i migliori, ma sempre rigido a danno di qualità individuali ed estro. Cavani si riveda in tv. Quando baciò la maglia numero 2017, data della scadenza del contratto, raddoppio dell’ingaggio e la clausola da 63 milioni per rescinderlo. È passato un anno. Implora uno sconto per andar via. Non arriva il bonifico bancario, allora? Addio clausola, trattiamo. Ma bacio, parola, firma: per Cavani hanno un valore? A De Laurentiis è bastato seguire una linea talvolta trascurata: la coerenza. E nel borsino della popolarità le sue quotazioni schizzano in alto. Sulla fuga di Mazzarri e sulle manovre di Cavani, guidato forse da agenti di perizia inferiore al rango del campione, il presidente non sbaglia una virgola. È un tesoro di simpatia e stima che però lo carica di responsabilità: ora o mai più, imporre uno stile al club e a se stesso uno stile Napoli.
Fonte: La Repubblica
La Redazione L.D.M.
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