La Nazionale lascia al Napoli almeno tre temi. Si possono ricondurre tutti ad un solo nome e ad un solo cognome. Lorenzo Insigne. Alla svolta dei trent’anni gioca una delle sue migliori partite. Da rivalutare tre aspetti. Il ruolo, la panchina, il suo rapporto con la squadra.
1) È stato il migliore perché ha potuto giocare come meglio gli riesce, largo a sinistra, ma con una buona copertura alle spalle. Come voleva Zeman, ma con la maturità dei suoi trent’anni, la personalità meglio espressa, con l’intraprendenza consapevole di chi sa anche accentrarsi.
2) Al contrario di Gattuso che gli dava troppe responsabilità fino a stremarlo, prima Zeman, poi Sarri, quindi Mancini gli danno quella serenità che libera il suo estro. Il gol è un prodigio di forza tranquilla.
3) In Nazionale probabilmente Insigne si sente come quei grandi professionisti napoletani che sfondano altrove, da Milano a New York. Volano circondati da ammirazione e mai invidia. Si esaltano nella concorrenza leale.
Chissà se un giorno Insigne racconterà l’assurdo finale di stagione. Come non hanno fatto De Laurentiis e Gattuso, scambiandosi messaggi pubblici che erano una apoteosi di ipocrisia. Contro il Verona la squadra andò in campo paralizzata dalla paura. Dalla tensione. Accade spesso agli studenti più preparati ed emotivi quando temono di aver dimenticato tutto. Non si può spiegare altrimenti una amnesia collettiva. Si leggevano terrore e disperazione quella sera nella faccia di Insigne. Finalmente gli Europei aiutano il Napoli a dimenticare. Tutto quello che non ha vinto e non ha avuto il coraggio di dire.
Fonte: Antonio Corbo per “Il Graffio” di Repubblica
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