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Corbo: “Il patto tra Mazzarri e i tre tenori è il segreto della svolta”

Sembrava quasi che Insigne avesse un ruolo ingombrante, invece...

Cavani con tre gol pianta la bandiera azzurra del Napoli in cima al campionato, accanto ad una Juve turbata dall’affannato pari di Firenze. Dal pomeriggio torrido di Catania, dove tutto sembrava facile e si rivelava impossibile, ecco la eccitante serata della doppia svolta. Il Napoli ritrova il primato ma anche la sua dimensione. Il suo formidabile potenziale offensivo. L’intesa tra Cavani, il sempre più autoritario Hamsik e Pandev. È cambiato il Napoli in una notte, ma è cambiato anche Mazzarri. Incerto e contraddittorio a Catania si è di nuovo rifugiato nella sua prudenza: niente colpi di scena, ha ricomposto con prudenza una grande squadra che solo tre giorni prima era in pezzi.

Nelle ultime ore è rientrato nell’ombra il protagonista dell’estate 2012. Lorenzo Insigne ha guadagnato poche righe nella conferenza della vigilia, sul pestifero monello di Frattamaggiore martedì sembrava calare l’autunno. Il silenzio. E dire che era stato ancora una volta al centro del dibattito dopo il flop di Catania per il suo tardivo ingresso. Si è diffuso nel giro persino il sospetto che il minuto fantasista fosse diventato ingombrante. Se Mazzarri ha sbagliato le strategie di Catania, bloccato per un tempo Insigne e scaricando una valanga di attaccanti nel finale fino ad intasare il traffico, l’allenatore ha ripreso saldamente il suo ruolo con lucidità. Ha puntato i fari sui titolari che lo avevano deluso, in un gioco di prestigio li ha sovraesposti, mettendo fuori scena Insigne. Lo avrebbe bruciato chiamandolo a sostituire subito Pandev, come pure sembrava logico, dopo Catania. Razionale attendismo stavolta. Sono apparsiin primo piano solo Cavani, Hamsik e Pandev, costretti quindi ad una prova almeno pari alla fiducia che ancora una volta aveva loro rinnovato Mazzarri. Avrebbe avuto nel finale il suo spazio anche Insigne, giusto così, stavolta. C’è come un patto fra i tre e l’allenatore. E ieri è stato subito consolidato. Si è così rafforzato il congegno offensivo del Napoli: micidiale, senza pari in Italia, se i tre non si abbandonano a incomprensibili languori, come a Catania. Ma che cosa è cambiato in tre giorni? Perché Cavani e Hamsik, meno Pandev, ieri sono apparsi finalmente riconoscibili? Le motivazioni, innanzitutto. Inevitabile una reazione. Ed anche prevedibile. Il Napoli quando sembra toccare il fondo più velocemente si rialza. Così anche ieri, ha sentito tutta la delusione dell’ambiente e la responsabilità di tante promesse estive. Mazzarri ha dolcemente accompagnato quindi la squadra nel recupero di se stessa, evitando ultimatum e traumi. Ha urlato più nei titoli dei giornali che a Castel Volturno, dove gli inamovibili titolari hanno ritrovato improvvisa freschezza e lucidità. L’ultima scossa l’ha data l’anticipo di Firenze, il Napoli si è accorto che la Juve impegnata peraltro in Champions e con un allenatore costretto con forte imbarazzo a nascondersi tra le quinte aspetta di sapere chi è davvero il rivale dell’anno. Il Napoli ha risposto subito. Meglio anche Maggio e Zuniga, trascurati sulle fasce per loro fortuna, da un evanescente Cavanda sulla destra del Napoli e dalla coppia Konko-Candreva a sinistra. Il gol iniziale di Klose, sfuggito agli arbitri ma cancellato in un sussulto di onestà dallo stesso bomber tedesco, ha dato un altro brivido al Napoli, mentre la Lazio illusa e delusa entrava in black-out. Ma tra l’infausta domenica di Catania ed ieri ha inciso anche il rapporto tattico. In inferiorità numerica per 92’ il Catania si è schierato nell’assetto che il Napoli detesta. Si è raccolto, schiacciato, compresso in una barriera di gomma per respingere con una certa elasticità gli ottusi assalti del Napoli, che preferisce invece abbassarsi per poi distendersi fulmineo con le ripartenze negli spazi larghi. Il bosniaco poliglotta Vladimir Petkovic, pur sprecandosi in inconsueti elogi al prossimo rivale, ha dimostrato di non conoscere bene Mazzarri ed il suo gioco. Ha preferito puntare su attacchi frontali lasciando Klose come boa di ormeggio in attesa che si infilasse Mauri ininfluente anche quando si esponeva come prima punta, imitato da Lulic e Candreva, ben controllati da Behrami e Zuniga. Il 4-1-4-1 è stato molto gradito dal Napoli. Perché ha piazzato la sua artiglieria in quella fascia tra le due linee: tra la difesa velleitaria che marcava a distanza e i quattro centrocampisti mai coinvolti in un convincente automatismo. Davanti al quartetto difensivo, rimaneva solo Ledesma in posizione statuaria e distante dal centro nevralgico del gioco. Sul raddoppio, la difesa sbaglia i tempi del fuorigioco. Troppo per non indurre il felino Cavani a riprovarci, a lanciarsi di nuovo nello spazio libero, lasciando alla Lazio solo il tempo di protestare, magari con qualche ragione. L’uscita di Mauri e Cavanda conferma i disguidi tattici segnalati, ribalta il 4-1-4-1 laziale in un 4-2-4 che non cambia i rapporti di forza, ma consente anche a Insigne un bel giro di giostra, in attesa di tempi migliori.

Fonte: Antonio Corbo per “Repubblica”

La Redazione

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