Come nei vecchi film sulla mafia cinese, con i fari verdastri nel buio, il Napoli cade in una imboscata a Pechino. Sapeva di dover giocare contro una squadra. Ne trova due.
La Juve e un plotone di arbitri, disposti a tutto pur di essere sbattuti in primo piano. Non è mancata una raffica di fuoco amico. Se l’assente Conte per un tempo aveva favorito il Napoli, trattenendo in panchina Vucinic, ci si è messo Mazzarri con i soliti errori nei cambi.
Il destino sceglie anche il minuto: il 17° della ripresa. Il Napoli è in vantaggio per 21 ma sbanda. Quasi avesse paura di vincere. Arretra. Te ne accorgi nei contrasti: duri e tardivi. Accumula ammonizioni in un’atmosfera concitata di inutile emergenza. Entra in scena Mazzarri, che aveva bene organizzato fase difensiva e contropiede. Pressing non sulla palla ma sull’uomo insegnato trent’anni fa dal calcio slavo e ribadito in Italia da Ottavio Bianchi, quando lasciava un solo avversario libero di costruire. Hamsik blocca Pirlo, con triste barba da monaco scalzo.
Cavani chiude l’armadio Lucio, Pandev frena Barzagli. La Juve deve ripartire quindi con Bonucci, figurarsi; sarà il peggiore in campo. Magari con un piccione, Conte informa Carrera: deve entrare Vucinic, fuori Matri. E la Juve diventa insidiosa con due serpentelli, Giovinco e Vucinic.
È il momento di Mazzarri. Deve tentare una variante tattica per interrompere dominio e possesso palla della Juve. Ha anche lui un gigante tascabile capace di ribaltare i rapporti: immaginate Insigne esterno a destra contro Asamoah che intanto travolge Maggio.
Il Napoli cambia invece Cannavaro, ammonito come l’assonnato Britos e il falloso Behrami. Perché Cannavaro? Entra Fernandez, non è più veloce di Cannavaro, ma meno risoluto, reattivo ed esperto.
La difesa scricchiola. Passano 4 minuti. Che fare? Si può respingere la Juve liberando Insigne? No, per carità. Mazzarri esclude un altro uomo di ordine e personalità come Hamsik per inserire Gargano, un omaggio al caos. Fernandez è da 10 minuti in campo, quando un suo scomposto ma innocente intervento su Vucinic offre all’arbitro e al suo suggeritore un’opportunità: il rigore del pari alla Juve. Non c’è altro tema tattico.
Ma contro arbitri ostili si può far peggio. Pandev dice qualcosa di grave all’assistente Andrea Edoardo Stefani, 43 anni, milanese. Questi magari vuol fare sapere agli amici che a Pechino c’è anche lui. Fa cacciare Pandev, che recita bene la parte del santo flagellato e incompreso. Qualcosa avrà pur detto. Stefani, presente anche agli Europei, è il migliore degli assistenti internazionali.
Poteva fingere di non sentire, non c’era stato niente di plateale. Chiude Stefani la partita. Perché sul 22 un Napoli squinternato, adesso in 10, è ormai fuori. E Mazzarri come a Villarreal si fa espellere. Un allenatore esperto domina l’ira, lui all’estero la esibisce. Il suo sdegno è giustificato, renderlo così plateale no. Vive la partita come se la giocasse: è uno show di emozioni, gesti, balzi, smorfie. Ma in preda a così struggente patos, può mai analizzare lucidamente la gara e studiare le giuste mosse? Per rendere indifendibili gli arbitri, c’è infine la Rai.
Dimostra in tv che Zuniga è espulso per due falli puniti al contrario. Doppia ammonizione, ma è stato lui a subirli. Bisognava andare in Cina per scoprire che gli arbitri se passano da quattro a sei, fanno più errori e confusione? È evidente a Pechino quanto si temeva già: distribuire le responsabilità ha un solo effetto. Delegittimare l’arbitro e fargli scudo, spalmando le colpe.
L’assenza di Marco Fassone, ex arbitro, “uomo del Palazzo”, oggi direttore all’Inter, si è avvertita ieri. Il Napoli per protesta non ha partecipato alla premiazione.
Qualcuno doveva convincerlo: è una mancanza di rispetto per il pubblico. Juve e Napoli si sono divisi 4 milioni di euro. Hanno offerto in cambio al ghiotto mercato d’Oriente l’immagine di un’Italia tre volte campione del mondo, ora vicecampione d’Europa, afflitta da arbitri scadenti e club isterici.
Fonte: Repubblica.it
La Redazione
C.T.
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