La partita ricomincia quando il Napoli sta per vincerla. Prima parte della ripresa, Fabiàn Ruiz e Anguissa prendono finalmente il comando, la squadra li segue, Osimhen si collega in prima linea per esserne lanciato.. Sembra fatta anche stavolta. Ma accade qualcosa di impercettibile: nei minuti più sofferti, tra paure e subalternità, la Roma è scossa da due, tre lampi d’orgoglio. Esce dall’assedio, in quelle due, tre ripartenze si accorge che può risalire la corrente, che il 6-1 umiliante nel gelo di Bodoe può essere riscattato, che nel naufragio oltre il circolo polare artico è colata a picco un’altra Roma, quella che Mourinho ha mandato per metà in tribuna. Si convince può giocare senza tremori anche con la capolista. Qui ricomincia la partita, è una lotta feroce che lascia al Napoli un solo punto dopo otto vittorie filate, ma certifica la sua piena capacità di combattere su qualsiasi campo, contro la formazione più determinata come la Roma del secondo tempo, in uno stadio eccitato come l’Olimpico ieri. Il Napoli che all’improvviso si accorge dei nuovi rapporti in campo, che capisce quanto gli avversari si stiano ribellando ad un risultato che sembra segnato, che vede l’ira negli occhi rossi di Pellegrini, Mancini, Cristante l’ansia, è un Napoli che supera se stesso. Accetta la sfida: deve combattere più che giocare, soffrire più che creare. Scommettere sulla fatica più che imporre tecnica. Ora può guardare al futuro come se avesse afferrato la nona vittoria. La partita mostra all’Italia del calcio anche la qualità di due tecnici che sui sessanta, anno meno anno più, sanno impostare una gara e leggerne le evoluzioni. Altri più che le squadre allenano le loro idee, e certi flop sono spietati nel rivelarne i limiti. Mourinho non esita ad affrontare il Napoli capolista con uno sbarramento difensivo a uomo. Pellegrini disturba Fabiàn Ruiz nuova mente del centrocampo, Cristante elimina dal campo Zielinski mostrandone una crisi allarmante, Veretout mette in ombra nel primo tempo Anguissa. Il Napoli sembra bloccato, e lo è ancora di più perché Insigne gira al largo dalla sinistra attraversata da Zaniolo e dal poderoso olandese Karsdrop, una corsia che rimane affidata a Mario Rui, generoso al punto di raddoppiarsi. Insigne sente molto il ruolo di capitano, discute con arbitro e persino Mourinho, meno gli riesce quello di regista offensivo, sempre pronto a prodigarsi, ma è un po’ appannato e colleziona la sesta sostituzione tra Napoli e Nazionale. Emergono alla distanza Ospina, Koulibaly, Rrahmani, Di Lorenzo, il clan dei combattenti nella scia di Fabiàn Ruiz e Anguissa che riemergono nella ripresa. Sull’agenda di Spalletti due note urgenti. Zielinski si è smarrito nel suo talento. Osimhen più che un bomber, è a metà fra lo showman e l’attaccabrighe. E deve allenarsi ad evitare il fuorigioco. Vi cade con il candore di un novizio.
Fonte: Antonio Corbo per “Il Graffio” di Repubblica
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