NELL’ERRORE di Aronica c’è la verità sull’ultimo Napoli. In quei pochi secondi, a tempo scaduto, si legge una parola. Paura. La squadra gioca con paura. Perché sa di essere al di sotto dei suoi valori, perché scopre che la sua condizione è un po’ sfiorita. PERCHÉ si accorge poi di essere inchiodata ad un modulo in black-out. Se il gioco si sviluppa di solito sulle fasce, può funzionare quando gli esterni sono in ferie? Maggio non riparte lungo neanche se lo insegue una muta feroce di rottweiler, Zuniga è bloccato da noie muscolari, Dossena che lo sostituisce dev’essere a sua volta rilevato da Aronica che entra tardissimo e commette un errore da due punti. Rivediamo quei secondi. Il Napoli da 80’ difende senza gloria il gol iniziale. Mazzarri non ha il ricambio giusto o un’idea per interrompere l’assalto del Torino. Non prova una variante tattica, ma cambia l’esterno difensivo Dossena con il difensore Aronica. Che può fare di meglio Aronica, a freddo, al posto di Dossena, dignitoso nel controllare uno stravagante Cerci? Può fare questo: passa al portiere piuttosto che aprire il gioco. L’afferra un avversario, l’unico sveglio in una difesa che è stufa di passaggi laterali. Mazzarri ricorda più volte l’errore di Aronica. Trascura due elementi di quell’assurdo passaggio: 1) è il segno della resa, della rinuncia al gioco, della paura di una squadra, non solo di Aronica. 2) è fuori posizione il portiere che con la squadra in possesso di palla dovrebbe essere quasi al limite dell’area, mica nella sua tana. De Sanctis era scosso dopo un volo a vuoto su cross dalla sua destra. Perché scaricare tutto su Aronica? Perché dire che la squadra è «ingenua» e deve «ancora crescere poter lottare con certe altre squadre»? Non è la squadra di campioni formidabili come Cavani e Hamsik? Non è la stessa che tante volte Mazzarri ha esaltato, dopo aver deciso o condiviso il mercato? E non è ancora la stessa che vincendo molto, anche per suo merito, ne ha portato l’ingaggio a livelli da primato? Farà bene Mazzarri anche ad evitare le espulsioni. Disturbare gli arbitri con proteste inutili non è certo nello stile che un allenatore di rango deve darsi. A 5 punti dalla Juve, a 4 da un’Inter rigenerata, a 27 gare dalla fine, il Napoli è ancora molto forte e competitivo. Ma ad una condizione: che tutti, allenatore e giocatori, ritrovino nella profonda lealtà dei confronti e nel coraggio dell’autocritica l’umiltà per ricominciare insieme un eccellente lavoro interrotto. I temi sembrano almeno tre. La condizione, il modulo, la staffetta Pandev-Insigne. È stato sempre elogiato il preparatore Pondrelli. Che la squadra giochi con la spia della riserva accesa lo dimostrano il giovane Sansone dopo il gol («Abbiamo trovato un Napoli in difficoltà») e il ripetersi di malanni muscolari, inediti negli ultimi anni. Che il modulo non renda è evidente: non funzionano gli esterni. Maggio ha dimenticato a tratti D’Ambrosio e ha poco influito, il cross corto micidiale dalla destra per il gol l’ha mandato Hamsik e l’ha sfruttato Cavani, complice il portiere Gillet. Se non riparte Maggio lungo sulla destra, o Zuniga con il suo zigzag danzato a sinistra, la squadra finisce per portare palla al centro. Ieri è stato generosissimo Hamsik, Cavani è tornato fin sulla linea dei mediani per invertire il gioco, Behrami reggeva con il discreto Dzemaili contro Basha e Gazzi, ma non c’è stata mai la solita fulminea ripartenza. Terzo tema del dibattito interno: la “non scelta” tra Pandev e Insigne. Il primo gioca spalle alla porta, è utile quando fa pressing alto tra mediano (Gazzi) e difensore esterno (D’Ambrosio) ma non si rivedono i suoi assist geniali. Più incisivo Insigne: va in verticale e in profondità. Ha velocità di pensiero, ha fantasia e agilità, perché gli è preferito Pandev quando proprio quando i ritmi sono più alti? Giovedì il Napoli torna in Europa League. L’idea di dividere il Napoli in due, titolari e precari, poteva essere buona. Innovativa. Mazzarri precisa che sulla eccentrica gestione del turnover è d’accordo la società. Lo è ancora? Non è il momento delle polemiche ma del primo bilancio. Quel metodo ha dato risultati scadenti.
Ancora peggiori quando lo si è contaminato inserendo Cavani fino a registrare un suo infortunio muscolare. Le vecchie regole sono: riposo a chi è stanco, gioca chi è in forma e tatticamente adeguato per arginare la forza degli avversari e compirli nei punti deboli. C’è molta ansia di dimostrarsi innovativi nel Napoli, è vero. Ma un vecchio paletto di qualità non sembrerà mai fuori moda. Soprattutto ora. Ieri sul San Paolo è crollato l’autunno più grigio.
Fonte: La Repubblica
La redazione
F.G.
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