ESTATE 2011, ne sono passate sette dalla notte del grande azzardo. Quando Aurelio De Laurentiis corse in motoscafo da Capri a Mergellina per chiedere a una banca fatta aprire solo per il calcio 29,5 milioni in assegni circolari e rilevare il Napoli dalla Fallimentare. Il settimo è l’anno delle crisi. Lette certe sue intemperanze, lo è davvero? Più che un presidente da criticare, disposto a diventare showman, c’è forse un imprenditore da capire. Litiga con tutti, tranne con i tifosi: che succede?
VA SEMPRE allo scontro. Con Criscito, napoletano di Cercola, fuggito da Genova in Russia dopo i contatti con il Napoli. Con Inler : preso, perso e ripreso nel tormentato giro di sette mesi. Con Mazzarri: licenziato, sostituito e riassunto in un lunedì pomeriggio. Con qualche tv e qualche giornalista: tutti respinti da giornalisti e dirigenti travestiti da buttafuori. La prima volta era successo anche con i presidenti di Fifa e Uefa, Blatter e Platini, quindi con Lotito, con Lega e Federcalcio. L’ultima buriana con il Comune, ricorderete la minaccia estrema ma labile di fare giocare il Napoli a Roma. Scontri che non hanno di niente di isterico e irrazionale, se si legano le varie vicende. C’è un filo che le tiene insieme. È l’insofferenza di un imprenditore verso tutte le barriere, i formalismi, le ipocrite consuetudini che affliggono il calcio fino a renderlo pieno di falle, un’ammiraglia di grande fascino e potenza ma dallo scafo bucato, costretta quindi ad affondare nei debiti piuttosto che navigare nell’oro di sponsor e tv. De Laurentiis ha capito che il calcio è un business che produce solo assurdi deficit, perché gestito da dirigenti antiquati e incapaci. Vuol sconfessare le regole improduttive e chi le difende, ipotizzando formule e campionati diversi. Vuole abbattere gli squilibri nei vantaggi tra squadre e società, il diritto dei giocatori a trattare sia con gli sponsor che con i club, rafforzando il loro potere contrattuale in tempo di mercato. De Laurentiis parte da un dato: se da quattro anni chiude il bilancio in attivo, fissando anche quote per sè e per i familiari, se Milan, Inter e Juve fatturano il doppio ma chiudono con un disavanzo di 200 milioni, qualcosa lui, l’ultimo arrivato, avrà pur dimostrato? Si considera un presidente che sa fare impresa, con uno stille di gestione che manda in pensione il presidente- mecenate. Ne è convinto. Questa sua diversità non legittima l’attuale arroganza che molti gli contestano, ma aiuta a comprendere la sua diffusa ostilità. De Laurentiis è certo che nel calcio una società come il Napoli, quarta platea televisiva tra le italiane nel mondo, possa ricavare molto più di quasi 120 milioni annui. Magari raddoppiarli. Forza quindi i toni e i rapporti per spingere a massimo il suo progetto di innovazione. A nessuno vuol concedere un euro in tutto e da tutti li pretende in nome del calcio. Sette anni dopo, gioca ancora d’azzardo. Punta su procuratori, informazione, sponsor, enti. Ai giocatori vuol sottrarre i diritti d’immagine per rivenderli in blocco, magari all’Adidas, interessata al mercato delle scarpette, ma scettica davanti a club con giocatori scritturati dai concorrenti. Nella sua ansia di rendere il calcio un affare, vorrebbe non riconoscere talvolta il diritto di cronaca, ma solo il suo: proteggere ed enfatizzare lo spettacolo che produce. Come se ogni partita fosse un film. Una voce: propone ai giornali sportivi interviste esclusive ai giocatori, a patto che siano concordati i profili: solo tecnico o solo umano. Una cabina di regia nella comunicazione. Sarà mai possibile? Delicato il rapporto con il Comune, che in tempo record ha trovato i fondi e avviato i lavori per la Champions. De Magistris e De Laurentiis si rispettano. Ma nessuno dei due vuol regalare all’altro una virgola della prossima convenzione, che il Comune giudica sbilanciata in favore della società. Niente più demagogia: politica e calcio dovranno misurarsi in una nuova logica. De Laurentiis è il presidente che sa far impresa e vincere. Ma de Magistris è il sindaco che non vuole subire nè perdere.
La Redazione
C.T.
Fonte: Antonio Corbo per Repubblica
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