Il Napoli ha rischiato di perdere la partita più facile da vincere. Per 92 minuti ha giocato con una squadra quotata oltre cento milioni e in superiorità numerica, 11 contro dieci, senza battere il Catania che al mercato vale meno di un quinto. Alla quarta, ha già perso i contatti con la Juve. C’è di peggio: su tifosi avviliti precipitano tonnellate di parole. Dov’è la verità?
Neanche Mazzarri conosce o dice la verità, se scarica sulla squadra un pareggio più triste di una sconfitta. «Faremo un bel discorso», è un’accusa neanche tanto velata ai giocatori. Vuol capire se è stanca, e non lo è. Non può esserlo. Teorizza poi un danno dall’espulsione iniziale di Alvarez «perché hanno creduto che fosse tutto facile». Possibile? Viene il sospetto che il Napoli abbia il candore di Biancaneve o Cappuccetto Rosso. Giocatori così ingenui come giustificano ingaggi tra i due e i cinque milioni? Mazzarri è in allarmante buonafede. Cerca una spiegazione alla fuga della Juve e al flop del Napoli. Non la troverà pensando che le partite, magari le più facili, si vincano solo sul campo. I risultati sono talvolta determinati anche dall’allenatore. Talvolta. Mazzarri dovrà riflettere. Ai leonini ruggiti di Antonio Conte, che trasformano giocatori di sicura qualità in belve mai appagate, si contrappone nel Napoli un metodo burocratico inconsueto e rasserenante, una novità assoluta nel calcio: chi gioca in campionato, chi in Europa League. Per la serie: a ciascuno il suo. Questo Napoli rischia di annegare in un lago di camomilla.
Ma come si giustifica l’assoluta mancanza di concorrenza se anche i monaci nei conventi si fanno la lotta per diventare priore e padre guardiano? Perché un calciatore dovrebbe impegnarsi allo stremo in allenamento, sopportare diete e stili di vita spartani, migliorare gli strumenti tecnici se non teme di essere messo fuori squadra? In un mondo che ha cancellato dal sogno dei pigri il posto fisso, volete che lo occupi il calciatore, mestiere più competitivo e stressante per definizione? Le formazioni si decidono non a Dimaro in estate. Tu titolare e lui riserva, tu in campionato e lui in Europa League, che nel Napoli conta poco e fa incassare meno. Dal penoso pareggio di ieri non esce bocciato Mazzarri, ma la sua gestione, troppo rispettosa degli anziani e di quelli che definisce con sussiego “titolarissimi”. Giusto, se avesse giocato bene chi è stato risparmiato giovedì sera. Il migliore, almeno il più fresco e vivace, è stato invece Insigne impegnato anche giovedì, Insigne che nelle gerarchie è ancora riserva di Pandev, pur avendo sbalordito in Nazionale il pubblico di Modena e la platea televisiva in Italia. Ieri Pandev è stato tra i peggiori, sarà ancora “titolarissimo” lui e “riservissima” Insigne? Il Napoli era e rimane forte anche dopo il pareggio di Catania. Per potenziale offensivo e cifra tecnica è il più credibile rivale della Juve. Va però capita la flessione di Cavani, di Hamsik, di Maggio e soprattutto di Inler. Nel Napoli mancava ieri chi organizzasse il gioco, fissando ritmi e distanze. Doveva farlo Inler ed è stato sostituito, poteva farlo Hamsik e non ha neanche provato. Bisognava governare la squadra, renderla flessibile, invitando magari ad uscire il Catania per creare spazi. Lasciano invece perplessi due decisioni. La prima. Dopo l’espulsione di Alvarez, si poteva inserire Insigne alto a sinistra ed eliminare Zuniga ammonito o Aronica, con difesa a 4. Perché difesa a 3 contro una sola punta (Bergessio) se Gomez arretrava in un 4-4-1? La seconda. Il Napoli ha atteso troppo per inserire Insigne, ha eliminato Inler acquistato a 17 milioni per fare il mediano d’ordine, sovraccaricato infine l’attacco con un solo effetto evidente: giocare senza idee contro un muro. A momenti, Insigne era alle spalle di Zuniga e Maggio dietro Vargas
Nella ripresa in panchina si squadernavano mappe catastali, senza trovarvi la chiave della vittoria. Momenti frenetici, persino Bigon si alzava ed urlava. Rabbia, panico, emergenza, che cosa succedeva laggiù? Non c’è da avvilirsi, ma Catania può davvero rimettere il Napoli in corsa. Se però si applicano le regole. Formazione di volta in volta decisa con criteri insuperati: gioca chi è più in forma, chi non molla in settimana, chi è funzionale alla tattica per colpire gli avversari nei settori più deboli e bloccarne i punti di forza. Troppi sono andati via da Napoli, da Denis a Cigarini, da Quagliarella a Gargano, «perché volevano giocare». Ed è un reato? Si vince forse con i titolari inamovibili e con chi è felice di guadagnare e non giocare? Mazzarri ha bravura, carisma e sostegno di tifosi e società da gestire senza paura il più tumultuoso degli spogliatoi. Voce grossa, addio posto fisso, e vediamo come va.
Fonte: Antonio Corbo per “Repubblica”
La Redazione
M.V.
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