Sono cambiate tante cose in questi ultimi anni, tanti cambiamenti che hanno scosso e rigenerato i più svariati settori lavorativi. Quello giornalistico è tra questi, spinto dalla furia del progresso tecnologico ha conosciuto nuovi mezzi, nuove tempistiche, nuove piattaforme informatiche. Casoriadue ha intervistato ilgiornalista Gianfranco Coppola, uno dei capiredattori del TGR Campania e affermato giornalista sportivo, nell’intento di cogliere attraverso la sua esperienza, le molteplici differenza che vedono concorrere il giornalismo di ieri e quello di oggi.
Posso chiederle un accenno alla sua carriera giornalistica?
Ho iniziato praticamente alle elementari, la maestra – all’epoca evidentemente modernissima – creò il giornalino di classe ed io fui nominato caporedattore in quanto correggevo i compiti degli altri. A 16 anni entrai nello staff di una radio privata legata al mondo dei seminari e dei circoli Anspi e da lì il passaggio al settimanale della Curia. Poi scrissi al direttore di un settimanale di Salerno, la mia città, Gazzetta, per cercare altri spazi. Il propormi mi ha sempre aiutato: anche la lettera inviata al direttore di un mensile, all’epoca Tutto B/C poi diventato Tuttocalcio, Alfio Tofanelli, che mi accolse a braccia aperte curandomi come un figlio a Montecatini Terme e mi presentò al Guerin Sportivo, di cui lui era storico collaboratore, e ho avuto anche l’onore di scrivere per il mitico magazine così da potermi definire un guerinetto.
Poi la professione con Il Mattino, il Roma, l’Informazione e dal ’95 la Rai. In mezzo alcune collaborazioni, da Avvenire al prestigiosissimo Osservatore Romano, il giornale di Città del Vaticano, dove curavo le storie dello sport per l’inserto domenicale. E tante altre collaborazioni che ricordo con emozione e piacere.Fare il giornalista è stato il sogno da bambino diventato realtà. Eppure in famiglia non abbiamo precedenti.
C’è un ambito in particolare in cui è specializzato?
Nella mia carriera ho scritto e seguito tutto, persino convegni economici quand’ero corrispondente di Avvenire. Ma certamente lo sport è la specializzazione più evidente. Ma ho un sogno che chissà se riuscirò mai a coronare. Da sempre appassionato di esteri, da giovanissimo scrissi una lettera al direttore dell’Ansa, Lepri, per sapere se potevo candidarmi anche come collaboratore da una delle località del mondo dove l’agenzia principe di informazione in Italia aveva sedi di corrispondenza. Oggi vorrei essere il corrispondente della Rai dall’America Latina, ma non da Buenos Aires dove oggi c’è una sede Rai, ma da Rio de Janeiro considerando che il Brasile è una realtà straordinaria del mondo, miracolo economico, e accoglierà nell’ordine le giornate mondiali della Gioventà, quindi sarà sede della Coppa del Mondo di calcio, con altre 8 città brasiliane, e nel 2016 sede delle Olimpiadi. In mezzo, meeting mondiali su ogni argomento, dalle energie rinnovabili ad altro. Parlo perfettamente il portoghese e sono cittadino benemerito di Rio. Spero che il nuovo direttore generale della Rai, dottor Luigi Gubitosi, che ha cominciato con delle decisioni che danno speranza a chi crede nel lavoro e nella meritocrazia, legga questa intervista…
Com’è oggi il lavoro del giornalista rispetto a diversi anni fa?
Lavoro cambiatissimo, causa tecnologia. Quando cominciai, per corrispondere coi giornali c’era la telefonata in rovesciata, la cosiddetta R Stampa, dove chi chiamava indicava all’operatore della ex Sip che la conversazione era a carico del destinatario. Poi il telefax, l’invio delle foto. Insomma, passi avanti ma anche marcia indietro sul piano delle emozioni, della capacità di entrare in contatto diretto coi personaggi di cui si scriveva e parlava. Non sono nostalgico ma è la realtà. I giovani giornalisti di oggi fanno tutto più velocemente, le sale stampa non sono più orchestre con gli spartiti interpretati dalle macchine per scrivere col suo disordinato ticchettìo ma silenziosi hangar senza pathos.
Come vede la figura del giornalista in questi ultimi anni?
Un giornalista è tale se è curioso e va in cerca di notizie non di comunicati stampa da riordinare a seconda delle esigenze del giornale o peggio ancora ridursi al copia e incolla. Lavorare, chiedere, non ritenersi mai soddisfatti di quanto raccolto, cercare sempre quel particolare che possa far dire al collega dell’altro giornale o emittente radio/tv: caspita, come avrà fatto a sapere anche questo?
E’ un mestiere da augurare ad un giovane?
Lo auguro a chi sente di amare il lavoro non per vanagloria ma a chi ha la consapevolezza di avere la fortuna di poter essere sempre al centro della vita: un giornalista, un Giornalista con la maiuscola, non si annoia. Mai. E in giro vedo troppa gente sbadigliare…
Fonte: Simona Barra per Casoriadue
La Redazione
C.T.
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