L’impegno europeo con il Dortmund, incastrato entro il più classico tour de force fatto di uscite internazionali e turni di campionato infrasettimanali, comincia a far sentire il suo peso. “Una partita ogni tre giorni” è una filastrocca che si sente ormai da anni, nel nuovo sistema calcistico che prevede periodi di tremende spremute di muscoli ed energie mentali. Ma come tutti i luoghi comuni ha la sua base di verità: la stanchezza è il dato più evidente nel Napoli visto ieri in casa contro il Sassuolo. La prova è l’insieme di difetti più tipico dei giorni in cui le forze scarseggiano: una squadra lunga e sfilacciata, poco votata al pressing, mai lucida in costruzione come negli ultimi metri, incapace di aggredire il campo. Una serie di fattori che non possono essere sfuggiti alla preparazione del match, ma che sono piuttosto l’esito di una condizione prima di tutto psicofisica. Ed è normale che sia così: battere il Borussia doveva avere il suo costo. Nonostante i diffusi elogi, per lo più “istintivi” per il risultato positivo, piovuti sul Napoli vincente a Milano, avevamo già osservato un certo calo di rendimento (clicca qui per l’analisi di Milan-Napoli), o almeno un atteggiamento tattico insolito che, causa una risposta atletica meno brillante, aveva rivelato una squadra più prudente e “seduta” rispetto a quella vista nelle settimane precedenti. Ma a San Siro le circostanze erano state propizie, perché aspettare i padroni di casa aveva un senso e perché Reina e Higuaìn erano in serata di grazia.
In casa contro il Sassuolo cambiavano invece tutti i presupposti: non più un avversario che si scopre per fare la partita, bensì un avversario capace di mettere dieci uomini dietro la palla in fase passiva e chiudere tutti gli spazi, con un pressing costante per novanta minuti. Nel primo quarto d’ora il Napoli sembrava in grado di produrre un’azione avvolgente ed aggirare l’ostacolo, ma dopo il promettente vantaggio la manovra si è spenta lentamente, mancando di grosse idee e peccando soprattutto di imprecisione. Di certo, per il Sassuolo hanno avuto il loro peso anche le sette reti incassate dall’Inter: un campanello d’allarme giunto appena prima della trasferta napoletana, dove Di Francesco ha cambiato modulo e schemi. Un 3-5-2 più compatto e una difesa ben lontana da quella altissima e ballerina che ha preso una pioggia di gol da Mazzarri, allo scopo di evitare una nuova figuraccia e giocare davvero da provinciale. E in Italia, si sa, la “tattica da provinciale” rende spesso bene, purché l’atteggiamento sia sostenuto da una corsa poderosa. A conti fatti, il Sassuolo ha corso più e meglio del Napoli, attaccando gli spazi, chiedendo agli attaccanti di cominciare l’azione a centrocampo e salendo poi con un buon gioco corale.
La sorpresa è stata proprio che gli ospiti non si sono solo chiusi, ma hanno anche creato occasioni. Tanto che nel primo tempo sarebbero persino andati in vantaggio per 2-1, se Mesto non avesse salvato sulla linea un rasoterra di Zaza. Questo perché il Napoli allungato di ieri sera concedeva spazi, anzi praterie, soprattutto al centro del campo, dove mancava il supporto indispensabile di Behrami. Poco filtro davanti alla difesa e marcatori in balia degli avversari: allora, se pure è vero, come dice Benitez, che l’errore non è stato il turnover in sé, ebbene, l’errore è stato nel turnover, cioè nel modo di gestirlo. Lasciato a riposo Behrami, è stato un vero azzardo rischiare anche Fernandez, affiancato per giunta a Cannavaro, con cui forma una coppia che spesso è andata in crisi, in passato, per caratteristiche tecniche. Proprio Paolo si è perso Zaza in occasione dell’1-1, e in un paio di occasioni si è alzato troppo al di fuori dalla linea difensiva, dimenticando forse di non far più parte di una difesa a tre, mentre Fernandez spesso si opponeva in modo troppo compassato alle ripartenze dei neopromossi di Di Francesco. Il Napoli non ha una rosa che permetta davvero di usare due squadre, e meno ancora due o tre linee difensive che siano diverse negli interpreti ed equivalenti nel rendimento.
A questo si aggiunga che Armero ha sofferto non poco Schelotto, mentre quando poteva scendere risentiva della sua intermittente precisione con i piedi, carenza tecnica condivisa a pieno anche dal suo dirimpettaio Mesto. Confronti individuali persi un po’ in ogni zona del campo, in una serata in cui persino Hamsik è venuto meno. E va bene che Pandev è un jolly offensivo che può giocare centrale dietro la punta o anche come prima punta, ma l’esterno proprio non può farlo, perché dopo venti minuti la benzina gli va in riserva. Perciò non sono bastate le buone prove di Mertens e del solito Higuaìn, anche perché gli episodi stavolta non hanno premiato il Napoli. Ma non basta appellarsi ad una serata storta per giustificare un pareggio che spegne gli entusiasmi di una partenza da record sfiorato, se le singole scelte tattiche hanno rivelato diversi punti interrogativi. La stanchezza è sì una scusante, o meglio la causa di certe lacune, ma gli allenamenti sono fatti apposta per simili verifiche; il turnover era sì necessario, ma forse andava organizzato diversamente. Benitez per una volta ha convinto poco, specialmente con le scelte di Fernandez e Pandev, e il suo Napoli è già tornato con i piedi per terra.
A cura di Lorenzo Licciardi
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