E’ vero, è tutto vero: e finalmente è diventata una vigilia, è adrenalina che scorre, è un colpo di frusta per risentirsi vivo e afferrare il senso pieno del calcio. Si gioca e stavolta si può ricominciare ad avvertire lo stress da prestazione, ad annusare il clima che introduce alla sfida, ad immaginare come possa essere interpretata, a studiare l’avversario e a infilarsi nelle pighe d’una gara virtuale. Ma ora sì ch’è calcio, senza veli e senza paura, soprattutto senza il filtro della panchina o della tribuna, l’inferno di una inattività durata cinque mesi. Però stavolta si debutta in campionato.
IN BARCA – 22 agosto 2001, è una serata che sa di festa e che invece finisce smoccolando. Il Barcellona ne fa cinque e Miguel Angel Britos, mentre il Napoli rientra, resta in Spagna, nel suo letto di dolore, in attesa del responso che arriva ed è una lama che si conficca «al quinto metatarso del piede destro». Era già tutto previsto, perché la fitta aveva annunciato la diagnosi: intervento immediato alla clinica Dexeus, poi la lenta rieducazione che pare interminabile, che richiede sacrificio e pazienza, che induce ai cattivi pensieri.
IL RINFORZO – Britos è il colpo difensivo dell’estate, l’uomo in più per andare ad arricchire un organico fondato sulla consistenza, sulla solidità e sulla fusione tra Campagnaro, Cannavaro e Aronica. Arriva a Napoli con un anno di ritardo, circa, e costa una cifra: nove milioni circa e il prestito di Vitale. Però è il difensore che Mazzarri ha inserito nella sua classifica di preferenza, sta un po’ dietro Criscito e Chivu, ma sta davanti agli altri. Un predestinato al trasferimento, perché il Napoli gli stava dietro da un bel po’.
MALEDIZIONE- A Barcellona, quando ancora non si sta facendo sul serio, pare già tutto finito, perché si intuisce d’istinto che non sarà semplice e che ci vorranno mesi per rivedere l’uruguayano, e che sarà tutto più complicato, perché poi servirà la preparazione e poi ci vorranno le gare e poi e poi. Britos fa ufficialmente la sua comparsa in prima squadra in Coppa Italia, gioca settanta minuti contro il Cesena, contribuisce al successo per 2-1, alla conquista del quarto di finale con l’Inter; poi deve rimettersi in sala d’attesa alle spalle di Aronica per osservarne i movimenti da terzo di sinistra della difesa.
ROSSOBLU’ – Però è ricomparso nel giro, si fa il ritiro, parte con la squadra, acquisisce padronanza, praticamente studia da Napoli, lui che ha (quasi) sempre giocato a quattro. Il caso vuole che stavolta debba cominciare il turn-over, perché i due mesi che verranno saranno tremendi, una gara ogni settantadue ore circa, e le circostanze, ma guarda un po’, spingono a ritenere Marassi lo stadio per il decollo: cromaticamente, ci siamo, si rilancia specchiandosi nel rosso e nel blu, i suoi colori al Bologna; e anche qualcosa di simile all’azulgrana che gli è rimasto stampato negli occhi, per cinque mesi. Ma adesso di riparte, c’è mezzo campionato davanti e al Napoli non si è mai troppi.
CARRIERA – E poi, ventisei anni appena e comunque già una settantina di partite di serie A nel proprio curriculum vitae, che contiene persino quattro reti. Il passato è alle spalle, ma spingendosi oltre al Camp Nou c’è un altro Britos ancor tutto da scoprire.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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