Per non negarsi nulla, men che meno l’eco universale che una tv concede ad un pensiero diffuso ad altissima voce, si ha la certezza (autografata) che il Real Madrid venga ritenuta da Luis Cavani, il papà di un bomber che farebbe ingolosire chiunque, dunque pure il club più fascinoso del mondo, la squadra maggiormente in linea con le capacità di Sua Maestà el matad’or. E in questo pianeta che sa trasformarsi in incantevole bar sport, per infiammare la discussione ed alimentare un pizzico di paura (squisitamente partenopea), le frasi ad effetto specialissimo rese a Marca Tv non potevano che scatenare libere interpretazioni. I fatti separati dall’opinione rispettabilissima, condivisibile e persino inevitabile di Luis Cavani sono concentrati (innanzitutto) in quella clausola rescissoria da 63 milioni che sta a corredo d’un contratto appena sottoscritto, scadenza 2017, e che rappresenta, allo stato, l’unica certezza certificata. L’altra, e non c’è motivo di dolersene per nessuno, è nell’ammirazione che Edinson Cavani ha per una società stellare, galattica almeno quanto lo spessore d’un attaccante che è ormai arrivato a novantanove reti nel campionato di serie A e che dunque è ad un passo dall’ingresso trionfale tra i miti dei “centenari”. In sostanza, rispetto all’altro giorno, cambia poco, praticamente nulla, perché è umanissimo, anzi legittimo, che un extraterrestre come Cavani custodisca dentro di sé una sana ammirazione per il Real Madrid – e magari pure per il Barcellona o per il Manchester United, per l’Arsenal o magari per il Bayern Monaco – e sarebbe stranissimo il contrario, anzi suonerebbe quasi ipocrita.
La sincerità di Luis Cavani non stravolge scenari (comunque) ipotizzabili però non (assolutamente) garantiti, né sorvola il particolare che esista una condizione affinché (eventualmente) un giorno si possa realizzare una separazione tanto clamorosa (economicamente) quanto dolorosa (sentimentalmente, tecnicamente). Il bello di papà, Edinson Cavani, è un fenomeno (calcistico, dunque mediatico) con pochi eguali ma la normalità, stavolta, sta in quella onesta confessione che pure a Watson sembrerebbe elementare. Ed ammettere una ovvietà non significa mettere blanco su nero (su azzurro?). In nome del padre, una sforbiciata dialettica è concessa.
Fonte: Il Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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