Da troppi anni, tra l’altro, il calcio tricolore sopravvive grazie alle plusvalenze, incrociando operazioni di players trading tra club “amici”. E questo è un ulteriore segnale di allarme ed anomalia del mercato in esame.
LIGURI MAGLIA NERA. L’oscar negativo spetta a Genoa e Sampdoria, che, rispettivamente si presentano con un rapporto costi del personale/fatturato netto, pari a 122,78 e 111,01 per cento. I costi gestionali dei calciatori e dei dipendenti, di fatto, assorbono tutta l’area dei ricavi, anzi vanno anche oltre. Il Genoa ha speso più di 54 milioni di euro per questo settore e presenta un saldo netto potenziale della rosa calciatori pari a 92 milioni di euro. Per ridurre drasticamente questa voce la realtà rossoblù potrebbe essere obbligata ad una campagna di “dismissioni” di giocatori al termine della stagione. E’ importante, però, sottolineare come il club del presidente Enrico Preziosi investa molto sul potenziamento del vivaio (circa 9,4 milioni di euro nell’ultimo bilancio). Nonostante questi punti di debolezza, la società ligure ha chiuso, a sorpresa, il bilancio 2013 con un piccolo utile (381.602 euro), grazie ad una serie di eventi straordinari di gestione, come, per esempio, il conferimento del ramo d’azienda specializzato nello sfruttamento delle attività commerciali del brand Genoa in una NewCo (Genoa Image srl) interamente controllata. Questa operazione di “finanza creativa” ha generato “proventi straordinari” per 27,4 milioni di euro.
Nettamente in rosso, invece, i conti della Sampdoria, i cui costi del personale (46,97 milioni) superano, anche in questo caso, il valore del fatturato netto (42,31 milioni). I doriani infatti hanno registrato una perdita di esercizio pari a 13,4 milioni di euro. Includendo anche le compartecipazioni, il valore contabile ipotetico della rosa è superiore ai 44 milioni di euro.
RINCORSA ALLE GRANDI. Singolare che dei restanti nove club fuori dai parametri del fair play, ben sette di questi siano piccoli-medi club di calcio. Uniche eccezioni l’As Roma (83,76 per cento), che ha l’alibi di aver potenziato i costi gestionali, per allestire una squadra competitiva in campionato, Coppa Italia, ma, soprattutto, in Europa, e l’Inter, nel pieno di una articolata operazione di ristrutturazione aziendale (del valore di oltre 230 milioni di euro), che porterà, presumibilmente a giugno, ad una serie di partenze e all’adozione di un modello gestionale dei calciatori in netta antitesi con le spesi folli del periodo del “Triplete” (stagione 2010).
UDINESE MODELLO. Con il suo 49,39 per cento nel rapporto tra le due voci, l’Udinese conferma che si può provare a fare impresa nel mondo del calcio, senza sforare i vincoli imposti dal fair play finanziario. Sempre sotto il livello virtuoso del 50 (49,85 per cento) è il Cagliari. Sul podio ideale il Napoli di Aurelio De Laurentiis, in lotta per il terzo posto in campionato, che presenta un lusinghiero 57,46 per cento. Un termometro dello stato di salute positivo del club partenopeo, da oltre sei anni in utile. Sulla buona strada Lazio (60,39 per cento), Milan (61,32 per cento) e Juventus (65,89 per cento), al di sotto della soglia di avvertimento, ma con un grande futuro collegato allo sfruttamento dello stadio di proprietà.
LA RICETTA. I club di calcio italiani devono con i fatti, e non solo a parole, iniziare a ridurre drasticamente le rose (e in questo senso la riforma a 25 giocatori lanciata dalla Federcalcio va in questa direzione), puntando esclusivamente su calciatori di qualità e sul potenziamento del settore giovanile. Un processo, quest’ultimo, che non può essere procrastinato all’infinito, ma deve partire, al massimo, nei prossimi 6-12 mesi, in modo indistinto in seno a tutti i club di A, utilizzando il campionato di B per far crescere le giovani promesse che non troverebbero spazio nella massima serie, sempre più a “trazione” straniera. Parallelamente il vero problema delle società di serie A è che non riescono a far esplodere la leva dei ricavi, spesso ingessati per l’assenza (ad eccezione di Juventus e Sassuolo) di stadi di proprietà.
Questo elemento di criticità, portato all’estremo, rischia di depauperare il tesoretto del calcio italiano, che, comunque, a livello professionistico (considerando anche B e Lega Pro) genera volumi di affari per 2,5 miliardi di euro. Solo facendo lievitare gli introiti commerciali (da botteghino, commerciali, diritti audiovisivi, ecc.) si può controllare la voce dei costi del personale, provando ad acquistare, soprattutto nelle società che partecipano alle competizioni europee, i cosiddetti top player.
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