Michigan, Wisconsin, Illinois, Colorado, Florida. Tra fine aprile e inizio maggio, il fronte dei manifestanti deciso a protestare contro il lockdown, imposto come misura estrema per contenere il contagio da Coronavirus, si mette in viaggio da uno Stato all’altro e poi rientra da dove era partito, magari deviando per i luoghi confinanti.
Lo smartphone in tasca o in borsa, l’infezione a poche decine di centimetri di distanza, tra le persone che protestano. La stessa distanza tenuta tra un manifestante e l’altro nel corso dei raduni, senza cura del rischio contagio. E per lo più senza dispositivi di sicurezza personale, come testimoniano queste immagini circolate in quei giorni. E come raccontato dal Guardian, secondo il quale alcuni di questi contestatori, con la violazione del lockdown e il mancato rispetto del distanziamento fisico, avrebbero contribuito alla diffusione del virus nelle aree lontane dai centri urbani, aree rurali in cui il contagio si stava dimostrando basso o assente. Intanto, nel resto degli States la curva epidemica era in continua ascesa.
Alla base di questa tesi, un dato. Quello incontrovertibile proveniente dagli smartphone dei contestatori: la geolocalizzazione di ogni apparecchio. A fornire i dati alla testata britannica è il Committee to Protect Medicare. Si tratta di informazioni anonime aggregate, acquisite dalle applicazioni installate sui dispositivi mobili di chi ha violato il lockdown per prendere parte alle manifestazioni andate in scena nei cinque Stati Usa. Dati che ai cervelloni di VoteMap sono serviti a tracciare una mappa dei percorsi seguiti dai dimostranti presenti alle proteste.
Solo per fare qualche esempio, citato dal Guardian, gli apparecchi dei proprietari presenti alla manifestazione antilockdown a Lansing, nel Michigan, sono stati tracciati per le successive 48 ore in diverse aree del Paese, dalla centrale Detroit a centri decisamente più sperduti, nel Nord dello Stato.
Dopo un’altra protesta del 19 aprile a Denver, chiamata “Operation Gridlock”, gli smartphone dei dimostranti sono stati registrati al confine con gli Stati vicini – Nebraska, Oklahoma, New Mexico e Utah – confine che hanno poi probabilmente superato, passando per centri poco o affatto toccati dal virus.
Intorno alla fine di aprile, nella Carolina del Nord, almeno uno dei leader delle proteste anti-lockdown è effettivamente risultato positivo al virus ma, non avendo intenzione di tirarsi indietro nella sua battaglia, ha affermato che avrebbe comunque continuato a partecipare alle manifestazioni in programma. Intanto, gli epidemiologi lanciavano avvertimenti sui rischi che si stavano correndo con gli assembramenti ai raduni. Secondo il Committee to Protect Medicare, i dati raccolti dai dispositivi mobili suggeriscono dunque che le proteste sono state «eventi epidemiologicamente significativi che hanno comportato un alto rischio di infezione».
fonte: open.online
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