Il senno di poi: e se, se, se….Il calcio una scienza terribilmente inesatta, ma vent’anni dopo (e anche trenta, e pure quaranta), quel mondo che teoricamente cambia all’interno d’un pallone, gattopardescamente immutabile, con soluzioni che resistono all’usura del tempo e ad agli avvicendamenti delle mode, con soluzioni che restano eguali al passato ma che il linguaggio rende ultramoderni. C’era una volta il libero, l’ultimo uomo che stava qualche passo dietro ai difensori – il terzino marcatore, lo stopper – vittima sacrificale quando le cose si mettevano male e serviva la mossa della disperazione: fuori lui, sempre lui, lasciando retrocedere magari un centrocampista o anche no, e dentro la punta, la mezza-punta, il supporto offensivo.
MODULO – Il Terzo Millennio ha rimosso quel ruolo fascinoso, ha sistemato (rigorosamente) i difensori in linea, s’è dato insomma una ripulitura, tranne però ricorrere a qualche artificio quando vai sotto e sei in affanno e stai perdendo e vedi le streghe. Ora che il libero è andato (praticamente) in pensione e che a uomo si marca solo nella zona, la ritocattina al sistema pare marginale ed invece diviene centrale, perché sposta gli equilibri, delimita nuove diagonali, sviluppa attraverso le sostituzioni nuove forme di contenimento difensivo e (chiaramente) altre suggestioni offensive. Inter-Napoli è in archivio e senza sorrisi partenopei, però tra i rivoli dell’amarezza e nel libro delle statistiche rientra pure quel tentativo meditato di riordinarsi le idee attraverso una rivoluzione tattica che va in onda nello spogliatoio, dove resta Gamberini (il centrale di destra) per far entrare Pandev e rivoltare il cliché attraverso il 4-3-3. E’ 2-1 nerazzurro, però è anche una ripresa densa di vibrazioni, con pressione a tutto campo, occasioni e, innanzitutto, un atteggiamento differente.
LA DOMANDA – Che sorge spontanea: perché aspettare? Il codice-Mazzarri va avanti da un decennio, è 3-5-2 o 3-4-1-2 o 3-4-3 o 3-4-2-1, dunque calcio fondato su un dogma difensivo (i tre centrali) ed alternative dalla mediana in su. Ma San Siro è soltanto l’ultima tappa di correttivi lanciati in corsa, poi riposti nello scantinato, e rispolverati in avvio di gara una sola volta, contro il Milan, affrontato «sporcando» vagamente le proprie convinzioni in fase di scivolamento, con Campagnaro largo a destra e Zuniga a fare il quarto dall’altra parte. Inter-Napoli rielabora il pensiero, spariglia lo scacchiere, manda Hamsik a danzare da trequartista con due mediani alle spalle oppure lo tiene da mezzala classico. Un po’ come è successo pure a Bergamo, nella«solita» ripresa travolgente, varie palle-gol e un pugno di mosche in mano.
I PRECEDENTI – La tentazione è però passeggera e a Mazzarri la suggerisce, in genere, l’evoluzione (l’involuzione, pardon) da un match: a Marassi, Genoa in vantaggio per due volte, quando il ribaltone viene mostrato in tutta la sua interezza, con Maggio (ri)trasformato esterno basso di destra (come in Nazionale) e Mesto che gli sta davanti, tra i tre che fanno da architrave per gli attacchi di Cavani. E non finisce qua, perché prima ancora, contro il Dnipro, la mossa che avvicina due secoli e quasi due mondi è sintomatica: il centrale difensivo è Aronica, tatticamente l’uomo che maggiormente si avvicina al calcio che fu, avendo attitudine a staccarsi. Il Napoli è sotto e Mazzarri che negli anni Ottanta già c’era (ma in campo) toglie quel libero moderno, infila nel match una punta, sposta le pedine e riscrive non solo la partita ma anche il futuro in Europa League. Con un ritorno al passato. Cambiare per il gusto di farlo non ha senso: ma se invece in certi segnali che arrivano dal campo si nascondesse una mossa per vivacizzare la propria esistenza (tattica)?
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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