Il calcio è un’attività produttiva come tutte le altre. Nessun Governo, anche in caso di emergenza rossa da pandemia, si spingerebbe mai a chiedere la chiusura anche soltanto temporanea di fabbriche, uffici e scuole. Al massimo, se la situazione fosse drammatica, ci si potrebbe attendere una messa in isolamento di quelle sacche pericolose. Certamente non un totale oscuramento. Ciò deve valere anche per l’azienda del pallone.
In Paesi come la Francia, la Spagna e la Germania che, in questo momento, si trovano a vivere uno stato di emergenza da Covid19 di proporzioni davvero molto allarmanti le partite di pallone nei rispettivi campionati continuano a svolgersi con regolarità e nessuna delle autorità preposte al monitoraggio sanitario si è mai espresso per la chiusura dell’attività agonistica. Ciò non significa che i nostri vicini di casa siano degli sconsiderati, ma soltanto che la macchina del calcio per motivi economici e anche sociali deve continuare a funzionare seppure con le dovute cautele.
Dunque anche in Italia, Paese del resto riconosciuto a livello mondiale come il più virtuoso rispetto alla guerra contro il virus, il campionato procederà seguendo la strada indicata dai calendari e al massimo corretta da qualche variante determinata da casi eccezionali come quello che ha portato al rinvio di Genoa-Torino.
Il problema autentico, semmai, si trova a monte di tutta la questione e riguarda direttamente gli operatori del settore ovvero i calciatori. Perlopiù giovani, prestanti e in ottima salute probabilmente alcuni di loro, fuori dal posto di lavoro, si comportano esattamente come i loro coetanei i quali non intendono rinunciare allo svago degli aperitivi e a quello delle feste con relativi assembramenti e troppo spesso privi della protezione fornita dalle mascherine. Poi, negli spogliatoi e sui campi di allenamento più che non nelle partite ufficiali, avviene ciò che fatalmente è logico attendersi con il contagio che dilaga.
Dunque il nocciolo della questione non è quello se sia o meno il caso di fermare il campionato ma molto più semplicemente quello di chiedere e pretendere da parte delle società un comportamento più responsabile da parte dei loro tesserati soprattutto quando si trovano a vivere la vita normale di tutti quanti nello stato di libertà la quale, visti i tempi cupi, deve essere gestita con saggezza e con il massimo della prudenza. Se il calcio è un luogo di lavoro come tutti gli altri ( e di fatto lo è) le regole comportamentali da seguire per impedire spiacevoli situazioni devono valere per tutti. Anche per i fortunati che lavorano giocando, divertendosi e guadagnando un sacco di soldi.
Fonte: Calciomercato.com
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