C’è un modo per leggere la realtà del calciomercato da un punto di vista oggettivo, senza filtri e senza suggestioni che fa emergere una visione sconvolgente. Siete pronti?
Basta rileggere tutto il mercato di questi mesi estivi tenendo ben presente un dato innegabile: il potere preponderante dei soldi.
Mai come adesso, nelle trattative che si sono concluse fin qui e in quelle che si stanno sviluppando, vale questa regola fondamentale e per certi versi banale. Mai come in questo periodo la regola dei superguadagni ha prevalso su ogni altra considerazione, a cominciare da quella della passione che dovrebbe ancora governare ogni attività che ruota attorno al calcio: la passione di chi segue una squadra da spettatore, ma anche la passione di chi, da calciatore, ambisce a giocare in una squadra più prestigiosa di un’altra oppure in un club a cui si senta maggiormente legato invece che a un altro.
La sensazione è cha ora l’argine del sentimento non tenga più, che l’alibi del senso di appartenenza sia definitivamente saltato sotto la spinta dei milioni. Prima vengono i soldi, poi la passione. La passione eventualmente si adatta bene dove più alta è la quantità dei soldi: “ho sempre sognato questa maglia”, “da bambino questa era la mia squadra preferita”, “questa è stata la società che mi ha voluto di più”.
Se indossate gli occhiali di questa realtà, restate colpiti: la clausola rescissoria che ha permesso a Higuain di lasciare Napoli per trasferirsi alla Juventus, e che ha permesso a De Laurentiis di incamerare un lauto risarcimento, non è altro che una questione di milioni, nella sua semplice e cinica evidenza, null’altro.Non ci sono sentimenti che tengano, né di rispetto e né di rabbia o fastidio. Non si tratta di mancata riconoscenza nei confronti di un popolo (“che seppe liberarsi da solo dai nazisti senza attendere gli americani”) o nei confronti di un allenatore. Non sono questi i problemi, neppure il fatto che un presidente divenga giorno dopo giorno sempre più insopportabile fino a spingerti lontano, lontanissimo, dall’altra parte della barricata. La ragione principale sta nella devozione che accomuna tutti per il dio denaro. Ognuno può rammaricarsi o scandalizzarsi, in base alla propria sensibilità e alle proprie convinzioni. Nessuno potrà stupirsi.
A me colpiva, molti anni fa, lo stupore del fu Antonio Giraudo ex amministratore della Juve, quando rivolto ai cronisti si chiedeva e domandava con aria di commiserazione: ma come fate voi giornalisti, specie voi più giovani, a ragionare con questa mentalità retrograda? Come può non piacervi il calcio moderno? Preferivate forse le partite di una volta in bianco e nero e un giorno alla settimana? Siete fuori dal tempo.
In parte aveva anche ragione, anche se alla fine proprio lui è finito fuori dal tempo. La brama smisurata del denaro del resto non ha mai portato a finali lieti.
Il fatto è che se pensi a questa grande o piccola realtà, a questa evidente e banale motivazione del dio milione, smascheri ogni finzione: ad esempio le presunte difficoltà evidenziate da Mancini nei rapporti con i nuovi plenipotenziari cinesi. Forse, più che le sottili interpretazioni sulla gestione diretta o indiretta del mercato, sull’importanza o meno di avere in rosa giovani talenti o marpioni d’annata, ciò che conta davvero è un aumento d’ingaggio, chissà. Stessa morale, ad esempio, valida per Pellè: certo che avrebbe voluto tornare a giocare in serie A per prendersi le sue rivincite, certo che giocare lontano dall’Italia comprometterà il suo legame con la maglia azzurra. E allora tutte queste sofferenze saranno ripagate dal privilegio missionario di contribuire alla crescita un una nuova frontiera calcistica, un nuovo mondo dai numeri macroscopici? Macché, ciò che conta è il solito contratto milionario.
Così come è sempre il suono delle monete a muovere le danze della coppia Icardi-Wanda Nara sul filo di una melodia che non si sa ancora come andrà a finire, alla faccia della maglia e di una fascia su quella stessa maglia, più o meno simbolica.
Prima viene il denaro, poi le passioni. Una logica alla quale misteriosamente sembra fin qui essersi sottratto Berlusconi (nel senso che continua a non cedere alle presunte avances dei soliti cinesi), ma non è che il Milan ne stia traendo giovamento. Almeno uno come Mino Raiola, passando al mondo dei megaprocuratori, gioca a carte scoperte. Non fa niente per nascondere quella che resta e che sarà sempre l’unica e sostanziale finalità del suo lavoro: aumentare le percentuali di guadagno. Lo fa in perfetta sintonia con i suoi adepti, dal monolitico Ibra al più vulnerabile Balotelli. Per lui è tutto più semplice, tranne che quando entra in cortocircuito con se stesso nel timore di smarrire percentuali da record e allora si ribella agli “amici” giornalisti, definendoli “pappagalli”.
E non è forse sempre più invadente la logica delle Tpo nel calcio, ovvero dei meccanismi di finanza estrema applicati allo sport? Sempre di milioni da anteporre alle passioni si tratta.
Ci saranno pure eccezioni, ma si fatica a distinguerle. Totti che resiste fedele alla Roma, per esempio. Ma che quando si erge a fustigatore di costumi verso i colleghi “mercenari” diventa fatalmente meno credibile, perfino lui, dall’alto dei suoi numeri ancora una volta milionari. Il sistema è questo e tutti lo condividono. Tutti fanno e disfano tutto (o magari non fanno), a cominciare dai padroni del vapore nelle riunioni di Lega, sempre e comunque in onore del dio denaro. Prima viene quello, poi il bene del calcio e della gente. Spesso prima anche delle norme e dei regolamenti. Non è morale spicciola, è consapevolezza di una realtà che cambia.
fonte: calciomercato.com
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