Tranne che all’interessato (“la mia stagione è stata positiva”) e ad alcuni tifosi irriducibili dalla fede incrollabile, è palese a tutti che il primo anno di Carlo Ancelotti a Napoli è stato fortemente negativo. Il collega Marco Giordano, che meglio di me conosce le cose dell’ambiente azzurro, si affretta a dire che comunque non si tratta di un “fallimento”. Sono d’accordo con lui, a patto che lo stesso giudizio si applichi per la Juventus che, dopo la Supercoppa, ha vinto il campionato con un vantaggio smisurato.
Si dirà: ma la Juve si è svenata economicamente per acquistare Cristiano Ronaldo e vincere la Champions, obiettivo dichiarato della sua stagione. Verissimo, ma non eravamo tutti d’accordo nel dire che De Laurentiis aveva preso il Ronaldo degli allenatori? Se sì, come mai, il suo Napoli ha undici punti in meno rispetto a quello di Sarri e non è stato mai realmente in corsa per qualcosa?
Un anno fa gli azzurri erano a meno quattro punti dalla vetta e lottavano con la Juve per la conquista del primo posto. Oggi sono a diciassette lunghezze di distanza, gli scontri diretti sono stati persi entrambi, non c’è mai stato confronto tecnico plausibile con la capolista.
Ora mi chiedo come Ancelotti possa definire buona la sua stagione fatta anche di una precoce eliminazione in Coppa Italia e di una doppia eliminazione europea, prima nel girone di Champions e poi ai quarti di Europa League. Per contrappasso Sarri, al suo primo anno di Chelsea, e con una squadra rabberciata soprattutto in difesa, non solo ha già disputato, perdendola, la finale di Coppa di Lega, ma è anche in semifinale di Europa League con buone possibilità di arrivare all’atto conclusivo. Ove mai rischiasse di perdere il quarto posto, l’ultimo utile per l’accesso alla Champions, potrebbe andarci vincendo proprio l’Europa League. A quel punto sarò curioso di vedere se sarà il Chelsea a licenziarlo, come dicono gli inattendibili tabloid inglesi da mesi, o se, al contrario, sarà Sarri a salutare per tornare in Italia (Roma e Inter le pretendenti).
De Laurentiis rimproverava a Sarri di non fare mai turnover e di utilizzare al massimo quattordici giocatori depauperando il patrimonio tecnico della società. Ancelotti, da buon aziendalista, il turnover l’ha fatto, come voleva il presidente, ma non risulta che abbia raggiunto né l’obiettivo di una competitività reale, né quello di una valorizzazione dei talenti per la semplice ragione che il Napoli non li possiede. Ha ottimi giocatori, qualche elemento di grande prospettiva e poi rientriamo nella normalità tecnica. L’eccezione potrebbe essere rappresentata da Insigne, ma non mi pare che il modo in cui è stato impiegato, soprattutto nell’ultima partita con l’Arsenal, aiuti a valorizzare il calciatore. Non so se sarà venduto o meno (personalmente non credo), però il rendimento avuto quest’anno non induce a pensare che si possa realizzare – come invece crede il presidente – una cifra vicina agli ottanta milioni.
Quel che sorprende nel primo bilancio tecnico di questa annata ancora una volta senza vittorie, è la benevolenza con la quale viene giudicato Ancelotti dalla critica e l’indulgenza dell’allenatore verso se stesso. Non sarò io a metterne in dubbia la sua valentia (anche se non è vero che ha vinto più di tutti, Mourinho gli sta ancora davanti per numero di titoli), ma colgo qualche segno di appagamento che fa rima con appannamento. L’ultima volta Ancelotti ha vinto in Germania e con il Bayern nel 2016-2017, minimo sindacale rappresentato dalla Bundesliga e dalla Supercoppa tedesca. Poi un anno di inattività causa precoce esonero (28 settembre 2017) e adesso questa stagione anonima (Marco Giordano l’ha definita mediocre) al Napoli.
Poco per chi vorrebbe conservare l’etichetta di vincente, visto che c’è chi dà del finito a Mourinho e del fallito a Guardiola, ancora fuori ai quarti di Champions con il City che ha speso centinaia di milioni di sterline. Forse è solo una fase storica, forse anche Ancelotti invecchia e non è detto che sempre si migliori (Ranieri al Leicester sì). Però quando si giudica un allenatore all’equilibrio bisogna sempre abbinare l’uniformità. E, nello specifico, dire come stanno le cose. Ancelotti non solo ha deluso, ma non ha neppure gettato le basi per il futuro. Questo Napoli ha bisogno di una rivoluzione e l’anno zero non è quello che si chiude, ma quello che verrà.
Fonte: Calciomercato.com
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