Il «derby» del cuore è un’ora e mezza tumultuosa, con il battito cardiaco accelerato e la memoria di Claudio Bellucci che va in tilt. La Samp da una parte, il Napoli dall’altra e lui nel bel mezzo dei ricordi della sua carriera, con il mare di Genova e quello di Mergellina che ringiovanisce e induce a tuffarsi nei sentimenti, a descrivere il “suo” Mazzarri, a rievocare due delle “sue” patrie calcistiche. A giocarsi la propria partita sul filo del revival.
Bellucci, che domenica strana?
«La partita che non vorrei mai vedere e che invece vedrò. La Sampdoria è stata la mia culla: mi ha allevato, mi ha fatto diventare maggiorenne; Napoli è stata la palestra della mia vita e mi ha fatto uomo. Poi sono andato ad invecchiare di nuovo nella Genova blucerchiata e dunque capirà il conflitto dei miei sentimenti».
Il calcio unisce, stavolta.
«La vedrò sapendo di assistere ad una partita di spessore: ci sono di fronte quelle che, per me, sono la vera anti-Juventus del campionato e una delle squadre più organizzate. L’altra sera ho fatto zapping: il primo tempo del Napoli con la Lazio è stato qualcosa di stellare; la ripresa della Samp a Roma di spessore tattico indiscutibile».
La sua Napoli…
«Sono arrivato nella fase peggiore e finimmo in serie B. Poi vincemmo il campionato con Novellino. Ma si avvertivano i disagi generali: due proprietari, caso insolito, e uno dei due, Corbelli, che non mi amava, perché ero in scadenza di contratto. Ma Napoli m’ha introdotto nel grande calcio e devo gratitudine. Ci torno quando posso, con piacere».
La Samp è casa sua.
«Sono stato un bambino e un matusa, mi ha allevato e poi m’ha ripreso. Io do valore ai sentimenti: ho ricevuto, eccome».
Ricorderà un Sampdoria-Napoli 6-3: lei segna e non esulta…
«Nel ’97, ero un fresco ex e quelle erano le prime volte in cui un calciatore, per riconoscenza, teneva a freno la propria euforia. Ricordo che qualcuno dei fans azzurri ci rimase male, ma la buttò sull’ironia dicendomi: qua già perdiamo sempre, poi quelle poche volte che segniamo non facciamo neanche festa…».
Allunghiamo lo sguardo su Marassi…
«Il Napoli di mercoledì sera fa paura. E’ la più seria rivale della Juventus, ha i numeri e la struttura per riuscire a resistere sino alla fine. Contro la Lazio, non un calciatore che abbia fornito una prestazione inferiore al sette in pagella. Non è stato possibile riscontrare difetti».
Il Napoli perfetto l’allena un suo amico.
«Mazzarri è stato il mio tecnico alla Sampdoria e quelle sono state le stagioni più intense e più piacevoli della mia carriera. Mi sono divertito come mai. Ho avuto modo di scoprire parti di me che non conoscevo. E lui mi ha sempre inserito nella sua squadra ideale. Ormai non credo ci siano più dubbi, ma da tempo, sul valore di Walter: per me lui è uno dei primi tre allenatori italiani».
Lo definisca con una parola.
«Potrei dire ch’è maniacale. O che è perfezionista. O che è ossessionato: e però in senso positivo. Ma anche che è un leader autentico, una guida per la squadra: io l’ho visto alla Sampdoria, ma poi ho parlato con altri calciatori e tutti la pensano come me. Per Mazzarri, i calciatori si butterebbero nel fuoco. Lui riesce ad ottenere il 200%. Trasmette sicurezze, sempre: vai in campo e sai cosa farà il mediano avversario, come attaccano le punte o i centrocampisti o gli esterni».
Troppi elogi, torniamo alla “sua” partita.
«La Sampdoria senza Maxi Lopez e Maresca perde punti di riferimento importantissimi in mezzo ed in avanti. E se poi non dovesse esserci neppure Pozzi, diventerebbe ancora più difficile. Se poi a tutto ciò aggiungete un Napoli stratosferico…».
Si è sbilanciato così tanto, che ormai può andare a ruota libera: essere l’anti-Juve vuol dire che…
«Vuol dire ciò che ho detto, che potrà lottare per quella cosa lì….Non mi fregate: sono stato a Napoli ed ho imparato cosa significhi essere scaramantici. Cominciò proprio tutto con Ulivieri e Mazzarri, nell’anno della serie B. E poi Walter a Genova m’ha spinto, attraverso i propri atteggiamenti, ad esserlo ancora di più. Non lo dico neanche a lui cosa può vincere, quando gli telefono o gli mando gli sms. Qui nel calcio vale un principio: non è vero ma ci crediamo. Tutti. Pure io, dunque: e lo sono anche quando vado in campo con i miei ragazzi, gli allievi della Lodigiani».
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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