Una vida loca. Una carriera di successo che, senza qualche follia, chissà cosa sarebbe potuta essere. Matias Almeyda, allenatore del River Plate ed ex centrocampista di Lazio, Parma e Inter, racconta tutto in un’autobiografia dal titolo ‘Almeyda, anima e vita’. “Per tutta la carriera ho fumato dieci sigarette al giorno. Anche l’alcol è stato un problema. Bruciavo tutto negli allenamenti, ma vivevo al limite”.
IL COMA ETILICO AI TEMPI DELL’INTER
In nerazzurro, dal 2002 al 2004, comincia la fase calante della sua carriera. “Una volta ad Azul, il mio paese, ho bevuto cinque litri di vino, come se fosse Coca Cola, e sono finito in una specie di coma etilico. Per smaltire, ho corso per cinque chilometri finchè ho visto il sole che girava. Un dottore mi ha fatto 5 ore di flebo. Sarebbe stato uno scandalo, all’epoca giocavo nell’Inter. Quando mi sono svegliato e ho visto tutta la mia famiglia intorno al letto, ho pensato che fosse il mio funerale”.
LE FLEBO DI PARMA
Con i gialloblù gioca dal 2000 al 2002. Almeyda parla di strane sostanze: “Al Parma ci facevano una flebo prima delle partite. Dicevano che era un composto di vitamine, ma prima di entrare in campo ero capace di saltare fino al soffitto. Il calciatore non fa domande, ma poi, con gli anni, ci sono casi di ex calciatori morti per problemi al cuore, che soffrono di problemi muscolari e altro. Penso che sia la conseguenza delle cose che gli hanno dato”.
GLI AVVERTIMENTI MAFIOSI
Sempre a proposito del periodo di Parma, l’argentino racconta di alcune minacce: “Dopo che avevo litigato con Stefano Tanzi, una volta mi ferma la polizia e mi sequestra la macchina. Giorni dopo, mi sono svegliato e la macchina nuova era sparita dal garage. A Milosevic, lui pure in conflitto con la società e con un contratto alto come il mio, capitava lo stesso. Un giorno mia moglie torna a casa e sente delle voci all’interno. Scappa e chiama la polizia. A casa poi non mancava niente. Ma c’era una manata sulla parete, fatta con olio di macchina. Un messaggio mafioso. Mia moglie ha avuto un parto prematuro. Dopo il Mondiale 2002 a Parma non sono più tornato”.
IL LITIGIO CON GLI ULTRAS
“Una volta al Parma ho lasciato lo stadio nel baule della macchina dei miei suoceri. C’erano 20 ultrà che mi aspettavano per un gestaccio che avevo fatto. In realtà era stato solo uno sguardo, ma di sfida, dopo che mi avevano urlato qualcosa. Avevo fatto amicizia con un gruppo di rugbisti argentini, che per la gara successiva mi hanno accompagnato al Tardini. Un ultrà grande e grosso mi ha fermato con la pancia: ‘Devi chiedere scusa ai tifosi’. ‘Non chiederò scusa per qualcosa che non ho fatto’, ho risposto sapendo che i miei amici erano pronti a intervenire”.
ROMA-PARMA DEL 2001: “CI CHIESERO DI PERDERE…”
E’ la partita che chiude la stagione e che assegna lo scudetto alla Roma: finirà 3-1 per i giallorossi. “Sul finire del campionato 2000-01, alcuni compagni del Parma ci hanno detto che i giocatori della Roma volevano che noi perdessimo la partita. Che siccome non giocavamo per nessun obiettivo, era uguale. Io ho detto di no. Sensini, lo stesso. La maggioranza ha risposto così. Ma in campo ho visto che alcuni non correvano come sempre. Allora ho chiesto la sostituzione e me ne sono andato in spogliatoio. Soldi? Non lo so. Loro lo definivano un favore…”.
LA DEPRESSIONE
All’Inter comincia ad ammalarsi: “La depressione è iniziata proprio a Milano. Due infortuni, troppo tempo senza giocare. Pensavo e pensavo. Un giorno non sentivo più la mano, quello dopo avevo perso la sensibilità nella metà del corpo. All’Inter c’era una psicologa. Mi diagnosticò attacchi di panico e prescritto una cura, ma non le ho dato retta. Ho capito che dovevo fare qualcosa quando mia figlia mi ha disegnato come un leone triste e stanco. Da allora tutti i giorni prendo antidepressivi e ansiolitici. Le chiamo le pillole della bontà, mi fanno essere più buono”.
Fonte: Sportmediaset
La Redazione
L.D.M.
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