«Anche Maradona lo capì in pochi istanti: perché vivi la napoletanità quando indossi quella maglia azzurra, con una folla straordinaria che acclama il tuo nome e un brivido lunghissimo ti corre, irrefrenabile, sulla pelle». Ciro Muro è l’esempio di questa napoletanità, quella vincente, in campo e in panchina. Prima, conquistando lo scudetto dell’87 da alter ego del Pibe (tant’è che fu ribatezzato Murodona). Quindi, occupandosi delle giovanili partenopee, portando prima la Berretti, poi gli Allievi e ora i Giovanissimi fasi finali dei rispettivi campionati nell’arco di sole tre stagioni. «Ed il primo insegnamento è sempre lo stesso: i miei ragazzi devono vivere l’orgoglio di indossare la casacca del Napoli. Io stesso – racconta Muro – sono il primo che si emoziona quando, ad ogni gara, li vedo arrivare dal sottopassaggio con quei colori. Trasmetto questo mio sentimento, quello stesso che uno spogliatoio di dodici napoletani trasmise a Diego. Avere la stessa radice – continua l’allenatore – fu una delle chiavi per vincere il tricolore. Eravamo in molti a parlare sempre nel nostro dialetto, Maradona ci guardava con simpatia e percepiva l’afflato che ci legava. La sua cultura argentina gli permise di comprendere una cosa molto semplice: gli ottantamila del San Paolo sono come centosessantamila se paragonati anche alle altre grandi tifoserie italiane. Se un sudamericano ha vissuto tutto ciò, figuratevi un figlio della nostra terra cosa vive nel suo stadio…».
Questo nuovo Napoli, quello di De Laurentiis, il messaggio l’ha decodificato. «Non è vero – conferma Muro – che il Napoli non vuole i napoletani. È un concetto sbagliato che è filtrato ed è legato solo ad alcune circostanze di mercato che hanno portato a certe dinamiche. La controprova – prosegue – è tutta nella nostra mission: dobbiamo produrre, quasi come un’azienda, calciatori pronti per approdare in Primavera. Con doti tecniche importanti, ma soprattutto con lo stemma del Napoli nel cuore». L’emblema è Lorenzo Insigne, corteggiato da grandi club, ma unito visceralmente al Napoli, sognando, solo e soltanto, lo stadio di Fuorigrotta. «Questo è il frutto del lavoro portato avanti da Santoro prima, da Caffarelli e da Sormani poi. Tre persone che vivono di napoletanità».
Ed ora, tocca ai Giovanissimi portare avanti lo stendardo. «Saranno tre gare molto tese – spiega Muro – Con il Torino (oggi alle 18), contro il Milan e poi con l’Empoli. Siamo arrivati a questa post-season con il desiderio di mettere in mostra il bel calcio già sciorinato nel corso dell’annata. Abbiamo tanti ragazzi di valore che vengono monitorati da tanti osservatori, ma che già sanno che dovranno sudare solo per l’azzurro». Cosa ci sarà, invece, nel futuro di Ciro Muro? «Sono e sarò un uomo di questo club, un amore così non può finire».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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