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Ciro Esposito, il giorno dopo i funerali. La reazione di Scampia, una lezione per tutti

Ciro Esposito non va dimenticato, non bisogna smettere di parlare della sua tragedia ma soprattutto bisogna pretendere delle garanzie di sicurezza per l’inizio del prossimo campionato

Arrivo a Via Baku e c’è un silenzio assordante. Lo ricordate il frastuono dei motorini, i clacson delle auto. Non c’è nulla di tutto questo, la Scampia che accoglie Ciro Esposito è silenziosa, afflitta, arrabbiata. Ieri le luci dei media nazionali sono tornati su questo quartiere. Stavolta non c’è guerra di camorra da raccontare, il supermarket della droga a cielo aperto da mostrare ma una lezione su cosa significa essere comunità nel mondo degli individualismi, in cui le relazioni umane sembrano aver perso valore.

Scampia sa essere comunità civile, ha la forza di compattarsi e di presentarsi al mondo intero senza divisioni. E’ una capacità nata dal valore della resistenza culturale, a Scampia sanno cosa significa reagire ad un racconto che non lascia scampo ad eccezioni, che da anni fotografa una situazione disastrosa ma che non sa vedere oltre l’immagine dei palazzoni anonimi di Via Ghisleri e dintorni.

Dietro la dittatura della droga c’è vita, c’è forza. Scampia è terra di volontariato, è una delle zone di Napoli con il più alto tasso di impegno sociale e civile. C’è per esempio una scuola calcio, l’Arci Scampia, un’oasi nel deserto, un centro stupendo diventato un punto di riferimento per tutti i ragazzini del quartiere.

Tra pallone ed impegno sociale, l’Arci Scampia è un’immagine, un simbolo della capacità di organizzarsi del quartiere.

Da quel maledetto 25 Giugno, Scampia ha trovato un altro simbolo: un ragazzo di 29 anni, un figlio del quartiere che potremmo definire un “eroe della normalità”. Un giovane lavoratore, che non inseguiva il “soldo facile” ma “faticava” nell’autolavaggio di famiglia, sognava di sposarsi e di costruirsi una vita rispettando i valori trasmessi dai suoi genitori. Ci avevano provato in tutti i modi a spostare l’attenzione su “Genny a Carogna”, sugli ultras napoletani, alla ricerca di parentele scomode e del misfatto di cronaca da mettere in prima pagina. Hanno tentato anche di delegittimare Ciro, di trattarlo come un personaggio che ha partecipato ad una rissa ma non ce l’hanno fatta. Le istituzioni hanno perso anche sulla comunicazione, ha vinto la splendida famiglia di Ciro Esposito, guidata da Antonella Leardi, dotata di una forza strepitosa nel trasmettere umanità e dignità in momenti difficilissimi.

Sono così scarsi che pensano ancora che una “verità” dall’alto possa essere assorbita dalle persone senza senso critico. Non è più il mondo della radio unica, ci sono iphone, telecamere di sorveglianza e soprattutto la forza del web, del suo tam-tam che in pochi minuti è capace di distruggere qualsiasi tesi di comodo sia propinata.

La soluzione non è nel Daspo a vita, nelle porte chiuse ma nel migliorare un Paese mediocre, che ha smarrito valori imprescindibili per una democrazia: certezza della pena, responsabilità nei ruoli di comando, uguaglianza davanti alla legge. Ci sono alcune immagini del 3 Maggio che non dimenticherò mai, che testimoniano la grande diversità di allerta messa in campo rispetto alla finale contro la Juventus. Non ho mai smesso da quella sera di farmi domande: perché i tifosi della Fiorentina erano scortati e quelli del Napoli no? Come si fa a non predisporre un piano per l’afflusso dei sostenitori azzurri dai parcheggi di Saxarubra e Tor di Quinto allo stadio Olimpico? Come si fa a far passare i tifosi del Napoli davanti ad un covo di ultras romanisti? Cosa spinge delle persone a trasformare una partita di calcio in una guerra, ad organizzare un agguato a famiglie e bambini, ad utilizzare una pistola nei pressi di uno stadio?

Sono interrogativi che non hanno ancora trovato risposta, che dovrebbero far riflettere le istituzioni. Come si può avere ancora fiducia nel prefetto di Roma Pecoraro e nel questore Massimo Maria Mazza? Hanno dimostrato di non essere all’altezza del compito e in un Paese civile dovrebbero dimettersi. Sarebbe una lezione di civiltà, di senso di responsabilità, valore che in questa vicenda ha dimostrato solo la famiglia Esposito invitando tutti a evitare vendette e violenze. La partita della pace è un’iniziativa lodevole ma non può coprire i disastri di chi ha sbagliato tutto la sera del 3 Maggio ed è stato capace qualche giorno dopo di affermare in conferenza stampa che tutto sommato era andata bene. Ciro Esposito combatteva al “Gemelli” tra la vita e la morte e le istituzioni parlavano di buoni risultati. Ciro non va dimenticato, non bisogna smettere di parlare della sua tragedia ma soprattutto bisogna pretendere delle garanzie di sicurezza per l’inizio del prossimo campionato. Serve un patto complessivo tra società, forze dell’ordine e tifoserie organizzate per garantire il funzionamento dello spettacolo calcio. Non  vale solo per la Serie A ma per tutte le categorie. Le porte chiuse non sono una soluzione accettabile, il pallone senza la passione della gente non ha senso d’esistere. E’ facile parlare di Daspo a vita, inasprimento delle pene, la soluzione demagogica per tutte le stagioni, ma lo Stato deve percorrere la via più difficile: cambiare lo stato delle cose. De Laurentiis al funerale l’ha detto: “Il 3 Maggio è morto il calcio italiano”. Ora organizzatevi per farlo risorgere, prendete esempio dal coraggio e dalla dignità di Antonella Leardi.

 

Ciro Troise

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I Am Naples Testata Giornalistica - aut. Tribunale di Napoli n. 33 del 30/03/2011 Editore: Francesco Cortese - Andrea Bozzo Direttore responsabile: Ciro Troise © 2021 IamNaples
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