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Ciro e il silenzio di Scampia: la grande lezione di umanità di un quartiere troppo spesso denigrato

Sai, Ciro, ti vogliono bene davvero: e sembra più impossibile che difficile pensare che un giorno tu possa essere dimenticato da qualcuno di quei due-tremila che stanno sfilando per venirti a salutare. Ci sono generazioni intere: i nonni che portano per mano i nipotini, e i mariti e le mogli che restano pallidi ad osservare il nulla e a pensare che non è giusto tutto ciò ch’è accaduto a te. Sai, Ciro, tua madre, quella straordinaria donna, Antonella, è un esempio di cristianità, non ha più lacrime per piangerti, ora, ma la forza non le manca per sussurrare al cielo: «grazie per l’umanità mostrataci» . Lo dice lei al mondo, mentre invece dovrebbe essere all’incontrario, avendo ricevuto insegnamento dalla tua mamma d’una religiosità e d’una civiltà mai piegati dal dolore devastante che può travolgere un genitore. Sai, Ciro, il tuo papà, Giovanni, è riuscito a restar se stesso, pur portandosi appresso lo strazio che per sempre gli farà compagnia, e però ha osservato la compostezza della folla incolonnata educatamente, non uno – e proprio uno – che abbia «rotto» quel patto collettivo del silenzio e d’esserti al fianco con la discrezione richiesta dal commiato, i cellulari con le suonerie disinserite, le lacrime che scivolano via ma prive di lamenti. «Che qualcuno a Roma prenda esempio da noi di Scampia» .

L’ALTRA CITTA’. Sai, Ciro, quando sei arrivato t’hanno accolto con un applauso, poi l’hanno strozzato subito e son tornati mesti, avvolti nella malinconia accecante; e c’erano soltanto due fanciulli e un quarantenne con la maglia del Napoli addosso, perché mica erano andati allo stadio e quella non era una festa, ma l’ultimo atto d’una tragedia che ha spaccato Napoli in due, come ha detto Luigi De Magistris, il sindaco, che se n’è stato lì tre passi indietro ai tuoi genitori, t’ha aspettato al casello autostradale per scortarti sino all’Auditorium d’una Scampia diversa da quella che ci raccontano in tv, e sia chiaro che nessuno voglia qui negare ch’esista. Però, Ciro, dev’essere merito tuo, una forma di rispetto generale, perché le auto non strombazzavano, le strade parevano larghe, sugli scooter i giovanotti indossavano i caschi e all’ingresso della camera ardente quelli della Protezione Civile e del Comune erano d’una educazione disarmante rispetto alla processione votiva. Non s’è alzata una voce, c’erano i manifesti a lutto per te, «eroe», e poi una decina di ghirlande, orchidee bianche e alcune tinteggiate d’azzurro, le hanno mandate la famiglia Speziale da Catania, sai, e i tifosi dell’Ancona e del Catania e quelli del Bologna e della Nocerina e i vari gruppi delle curve dello stadio San Paolo; ma poi tutte le società di calcio hanno espresso i propri sentimenti, affinché il calcio – il mondo – sapesse.

LO SPORT. Sai, Ciro, Blatter, il presidente della Fifa, ha inviato un telegramma e una pergamena ed oggi pomeriggio, alle quattro e mezzo, mentre il sole sarà ancora alto e bacerà quella tua immagine radiosa nella foto-poster nella quale si coglie che eri non soltanto bello ma pure «nu’ brav guaglione», arriverà il presidente del Coni, Giovanni Malagò: alla mamma e al papà ha assicurato che ti verrà intitolata una borsa di studio, ma prima salirà sull’altare per «parlarti». Sai, Ciro, il Napoli sta preparando una maglietta commemorativa per te, la metteranno vicina alle tre sciarpe azzurre ch’erano sulla bara e quando poi sfileremo via, perché te ne sarai andato, ci lasceremo alle spalle quella frase che domina il ponte di Scampia: «Quando la felicità non la vedi, cercala dentro ». Sai, Ciro, dentro c’è il vuoto adesso e osservando quei due-tremila, ci resterà, e non ci crede nessuno che esista la felicità.

Fonte: Corriere dello Sport

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