E per fortuna che l’ironia non gli manca. Il pallottoliere, maledizione, è quello che ci vuole: per ingannare il tempo e provare a sorridere un po’, uscendo come un kamikaze sulla realtà, afferrandola nelle manoni da numero uno e poi trascinandosela ovunque, magari nel sottoscala. Tre reti con l’Atalanta, in una sorta di tiro al portiere dalla distanza per neofiti del gol come Bonaventura, Carmona e Bellini (la prima volta stagionale di ognuno di loro): succede! E vabbé ma era già successo, stadio Olimpico di Roma, altre tre reti, tanto per ripetere quanto capitato la settimana precedente Torino, in quell’altro Olimpico, in quell’altra disfatta, l’inizio dello scivolone all’indietro.
RESTYLING – E’ lì, è in quel momento si rimodella la stagione difensiva d’una squadra che ha sempre saputo come coprirsi le spalle e che all’improvviso lascia Morgan De Sanctis in balìa degli avversari: tre reti dal Cagliari – (addirittura quattro a Londra) – e due a Udine, qualcosa è cambiato o forse semplicemente Stamford Bridge ha modificato qualcuno. La debolezza collettiva, per cominciare, è sulle cosiddette palle inattive, su quei cross dalla bandierina o su punizione, che scatenano l’ansia da prestazione nei sedici metri: la spia blues s’accende (manco a dirlo) con il Chelsea, ma è contro il Catania che suona fragorosamente l’allarme con un 2-0 trasformato in 2-2 da Spolli e da Lanzafame.
VARIETA’ – Ma evidentemente il vento soffia all’incontrario e c’è ben poco da fare: a Torino, contro la Juventus, la madre di tutte le partite diviene una strega da scacciare via. Ancora tre reti e però stavolta non c’è traccia di angoli o di stacchi aerei: Bonucci devia una ciabattata di Vucinic; Vidal s’inventa un numero da fuoriclasse e Quagliarella toglie i personalissimi sassolini dalle scarpe con una sassata. E’ una nuova tipologia di handicap che si spalanca dinnanzi a De Sanctis, colpevole soltanto a Roma, contro la Lazio, sulla rasoiata di Candreva e poi costretto ad arrendersi da quel capolavoro di Mauri e dal rigore di Ledesma; ad osservare le prodezze balistiche di Bonaventura, Bellini e Carmona; ad incollare i cocci di una retroguardia che intanto è rimasta fracassata da quella valanga anomala che si abbattuta addosso e l’ha schiantata. La solitudine del numero uno, in casi del genere, diviene un’arma, una corazza, una diga o forse anche una saracinesca da abbassare. Su le mani, ironicamente.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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