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Che numeri per il Napoli di Benitez. Sono 5 i punti in più rispetto alla passata stagione

Nemmeno con Maradona era partito così forte: 28 punti in 11 gare

NAPOLI – Ora che gli almanacchi sono stati rivoltati e la polvere del passato può essere spazzata via dalla spalla, ciò ch’emerge (e che brilla) d’una squadra (ri)nata per stupire è l’autorevolezza con la quale rendere semplicissime le pratiche (apparentemente) più difficili e procedere a testa alta in quella che (senz’eufemismo) è la Storia. Magari del proprio giardino, della propria esistenza, che pure è lunga, va da un Secolo all’altro e comunque contiene un settennato – quello della belle époque – nel quale c’è il Dio del calcio che da solo muoveva i risultati, spostava gli equilibri e rimescolava il destino d’una partita, talvolta persino con una mano però sistematicamente con la magìa.
Si fa in fretta a dire il Napoli di Benitez: e però indiscutibile ed è vero, perché in lungo e in largo, in campo e pure fuori, il taglio netto con il passato non è solo nelle cifre che testimoniano la bontà del lavoro, ma è nella gestione collettiva delle piccole e grandi vicende che rappresentano la quotidianità d’un club.

LO SCATTO  – Cinque punti in più rispetto alla passata stagione, pur avendo la Champions League da ossequiare e un organico strapazzato qua e là dagli eventi e da infortuni (traumatici) che hanno costretto a inventarsi Uvini esterno-basso, per non rinunciare a Behrami nel mezzo, per non sottoporre Cannavaro ad un’esercitazione in quel ruolo insolito (affrontato ad Eindhoven), per non inseguire neanche la non semplice soluzione della difesa a tre. « Sono felice perché siamo dove vogliamo essere: i conti si fanno alla fine, ma intanto abbiamo conquistato altri tre punti e creato tantissimo. La vittoria dà sollievo, magari potevamo chiuderla anche prima, ma va bene così ».
I numeri nella loro enormità non mentono: nove vittorie, un pareggio e una sconfitta, un’andatura da star – alla pari della Juventus – oscurata solo dalla Roma, un percorso elettrizzante capace di fare da ombra persino al Napoli di Bianchi & Maradona (stagione 88-89) e di far impallidire gli altri.

IL SEGNO DI RAFA – Per cominciare, l’irrinunciabile difesa a quattro: il marchio di fabbrica ma anche la dimostrazione di poter e saper lavorare sul gruppo, plasmandolo ad immagine e somiglianza d’un altro modulo. Poi, la rivalutazione di Fernandez – strappato dal mercato, negato al Getafe, che l’aveva richiesto dopo averlo accolto appena nel gennaio scorso – e ancora: lo sviluppo del gioco in verticale, il «controllo» dell’emergenza senza carichi di tensione e anzi l’adozione d’un sistema anti-stress capace di svelenire le vigilie e i post-partita.

LA DEA BENDATA  – In generale: l’approccio, e si potrebbe dire il distacco, con la (mala) sorte, che in rapidissima successione gli ha negato prima Maggio e poi Zuniga, Britos e a seguire Mesto, con Higuain gestito – assieme allo staff medico ed alla società – senza lasciarsi travolgere dall’ansia. Ma nel particolare, la capacità di trasmettere al suo Napoli una personalità spiccata ed una capacità di trasformare la propria natura, passando dall’attendismo (ricercato) di Firenze al dominio della palleggio (con il Catania e però anche prima, quasi sempre, tranne a Londra).

UNA MACCHINA  – Racconta quest’avvio scintillante di un Napoli all’asciutto soltanto una volta (all’Olimpico, con la Roma) ed appena in un’altra circostanza incapace di segnare almeno due reti (con il Sassuolo, finì 1-1): la cooperativa del gol ha mandato in porta otto uomini diversi in campionato e dieci se ci aggiungete anche la Champions. E’ la somma che fa il totale, avrebbe detto il Principe.
Fonte: Corriere dello Sport

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