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Che fenomeno Messi, ma quell’eredità pesa troppo anche per lui…

”Quasi quasi ci provo dai…”. Portiere fuori dai pali, uno sguardo alla porta, poi il pallonetto e… quasi gol. Peccato. Sorriso di Leo, magia sfiorata alla centesima presenza con l’Albiceleste. Sarà per la prossima, magari in finale? Il sogno resta quello, ormai un chiodo fisso: ”Voglio vincere…” Messi se lo ripete all’infinito, in Nazionale non ha vinto praticamente nulla. Ma stavolta sì, è ora. Dopo aver dominato il mondo è arrivato il momento di estendere il proprio dominio anche in patria. Tante le delusioni, troppe. Ma anche tanti gol, tanti record battuti e ben tre Mondiali disputati. Esordì ragazzino contro l’Ungheria, fresco vincitore del Mondiale U20. Pekerman lo getta nella mischia con la maglia numero 18. Leo si piazza subito sul centro-destra, riceve un pallone sulla trequarti e parte di corsa. Eleganza, classe, qualità. Ma anche inesperienza. Vanczak lo trattiene, forse un po’ troppo per i suoi gusti. Il ragazzino non ci sta e gli sferra una gomitata sul volto, rosso diretto.

Quando esordì non era nessuno, solo un timido chaval dai capelli lunghi e la maglia troppo larga per delle spalle così strette. Oggi, dieci anni dopo, scandisce i ritmi di una nuova era calcistica. La storia di Messi in Nazionale inizia con un’espulsione, emblema del suo percorso: a tratti fantastico come un dribbling sull’avversario, altre volte incomprensibile come quella gomitata. Mistero Messi, campione nel Barca e mai tale in Nazionale. Con le dovute proporzioni, sia chiaro. Parliamo di uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi. Ha scritto (e continua a scrivere) pagine di storia. A tinte blaugrana però, perché con l’Albiceleste di sussulti ce ne son stati pochi. Nonostante le 46 reti segnate, Messi non hai mai lasciato il segno. Copa America? Persa in finale nel 2007, out ai quarti in casa nel 2011. Mondiale del 2010? Zero gol e fuori con la Germania. 2014 in Brasile? Gran percorso, poi eclissi di sole ancora contro i tedeschi. Finale persa, per di più da capitano. Quel titolo di miglior giocatore che sa di beffa. Infine un’immagine emblematica: Mascherano che incita i compagni con un discorso da guerriero. E Leo? In disparte, sconsolato, isolato dagli altri. Estraneo al contesto.

Contesto sì, il termine da cui partire per analizzare il suo difficile rapporto con l’Argentina. Leo è cresciuto alla Masia: realtà di scambi e fraseggi dove il Tiki-Taka è legge e il possesso palla vangelo. E’ nato all’interno di un ciclo calcistico iniziato nel 2004 e non ancora chiuso. Veni, vidi, vinsi: prima con Rijkaard, poi con Guardiola ed oggi con Luis Enrique. Contesto sì, eccolo qui. Leo è esploso al suo interno e non ha mai cambiato filosofia. E’ diventato stella tra le stelle, fenomeno tra i fenomeni. E infine campione assoluto. Oggi se pensi al calcio pensi a Messi (senza dimenticare CR7). Ma se pensi all’Argentina ti viene in mente Maradona. Semplice. Perché Diego è stato campione tra giocatori che campioni ancora non lo erano. E’ stato il leader di una città che fino ad allora non aveva assaporato l’èlite del calcio. Ma Diego ha contribuito a farla entrare dalla porta principale. E’ stato quel giocatore strafottente che ha beffato il mondo con un tocco di mano, andando poi ad esultare con la stessa a mo’ di beffa. Inghilterra battuta e Malvinas vendicate.

Personalità da trascinatore, contesto diverso rispetto a Leo. Basta confrontare il Napoli del 1990 col Barca del 2011: Crippa, Fusi e Francini. Iniesta, Xavi e Pique. Non proprio la stessa cosa. Soprattutto perché il Barca ha poi ‘prestato’ il suo stile alla Spagna per poter estendere il suo impero. Irripetibili ere di calcio, ognuna a modo suo. Cento presenze (e zero titoli), dieci anni di Messi, una vita di paragoni con un grande peso sulle spalle: Atlante portava il mondo, Leo si trascina dietro l’eredità di Maradona. Qual è la verità? Diego è stato il più grande nella sua epoca, non esisterà mai nessuno come lui. Ma al tempo stesso, non esisterà mai nessuno come Messi. Perché entrambi sono stati grandi – e continuano ad esserlo – per la propria unicità. A por la Copa Leo, ora o mai più.

di Francesco Pietrella per gianlucadimarzio.com

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