E PERO’ – AAA cercasi le motivazioni ad uso e consumo d’un bomber che sa sempre cosa fare e anche come farlo, che a San Siro s’è ritrovato nel deserto offensivo e però ci ha provato e per poco non ci è riuscito, d’un uomo che magari risulta insofferente – anche in maniera eccessiva, plateale – ma che forse sente troppo stretta questa sua dimensione e che probabilmente (certamente) non ha mai seriamente digerito l’eliminazione dalla Champions League. E però la fascia, quella finita a Mesto, gli sarebbe piaciuta, mica per darsi un tono per sentirsi il totem, per aver certezza d’essere l’epicentro del Napoli, ammesso che non l’abbia capito dopo lo sforzo da quaranta milioni di un anno fa, un investimento massiccio, troppo semplice definirlo «Real», per sostituire Cavani.
IL PARAGONE . AAA cercasi l’erede (in numeri) del matador: e forse è anche per questo che Benitez ha provato a stuzzicare quel goleador costato un occhio della fronte e due terzi del ricavato della cessione dell’uruguaiano. «Per crescere, a volte, può bastare anche un attaccante da trentacinque reti stagionali». E Higuain, che un anno fa è atterrato a venticinque, deve averlo capito che voleva essere una amichevole provocazione per provare a tirargli fuori il massimo; o magari no, s’è semplicemente avvolto in se stesso, nella malinconia per aver perduto troppo presto, ancor prima di cominciare, la Champions; o, chi può dirlo?, ci sono ancora le scorie del Mondiale, la finale persa, quella occasione dilapidata che chissà quando ricapita più. Tutto e niente, e poi la richiesta di Benitez di prendere il sandalo o la bandiera e di mostrarla dall’alto di uno spessore tecnico che è indiscutibile, perché nel Napoli nessuno è come lui…
IL PASSATO. Poi magari va a finire che, scavando nell’archivio, ci si accorge che cominciò con il freno a mano tirato anche nella passata stagione, quando addirittura dovette fronteggiare un malanno e le malelingue, quando fu costretto a fermarsi e a domarsi e a gestirsi, quando insomma non riusciva ad essere ciò che sapeva di essere: un attaccante di razza, il centravanti della Nazionale argentina, il «figlioccio» di Maradona, la sublimazione d’un ruolo e dunque anche un simbolo.
FALSO NUEVE. Lui è autentico nei sedici metri o «falso» quando c’è da mandare dentro i compagni, Callejon, ad esempio, come a Marassi con il Genoa ed a Reggio Emilia con il Sassuolo ed ovunque ne abbia avuto la possibilità, per esempio con la Roma, nella partita «mostruosa» che ha segnato lo spartiacque tra l’illusione e la realtà. E comunque ha dovuto aspettare otto giornate di campionato prima di sbloccarsi e di fare un’abbuffata con il Verona, una tripletta, l’avvio d’una sbornia colossale, perché poi ha segnato per cinque giornate consecutive, ha sbagliato un rigore a Bergamo al 92’ (dopo quello con il Chievo) ed ha avvertito sulle spalle il peso d’una responsabilità – anzi due – enorme: essere il leader del Napoli, lui dopo Cavani, che certe cose le diceva a modo suo… Centoquattro volte in tre anni…
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