Terry è ghanese, le treccine rasta sotto un cappello dai colori giamaicani. Vende i fazzolettini. A volte li lancia sulle auto ferme al semaforo e poi corre come un matto per riacchiapparli. Al collo ha un cartello: «A sor’, tengo fame! O’ frat’, tifo Napoli». È la prima volta che lo incrocio sulla strada per il San Paolo. Indossa una versione «pezzotta» della maglia azzurra, il numero è il 24, l’idolo è Insigne. Di Lorenzinho ha lo scatto felino, la sua fascia è il marciapiede, a destra o a sinistra è indifferente, proprio come per Lorenzo. È lì che custodisce i pacchettini azzurri di fazzoletti di carta, quelli con su scritto «Napoli for Ever» e la «N» infilata in un cuore, è lì che nasconde per i clienti affezionati la carta igienica griffata con i simboli di Juve e Milan. Sorride contagioso Terry, soprattutto quando scansa come fossero stopper e terzini, gli autobus e le moto che sembrerebbero travolgerlo. È un vero atleta, l’evoluzione sportiva della vendita ambulante, l’integrazione pallonara multietnica fatta persona. A Fuorigrotta, prima della partita, il suo richiamo anglo-partenopeo «Scioscia – nose! Scioscia – nose!», suona come una cantilena scaramantica, un buon augurio anti sfiga. Tifosi e tifose «sciosciano« via i gufi e i fazzolettini vanno a ruba.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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