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CDS- Parla Ghedin, il ct della nazionale azzurra: “Il movimento si sviluppa ovunque tranne che in it

«In dieci anni un progresso travolgente»
Guardando ( in Tv) con rabbia: « Non siamo al Mondiale perché sulla nostra strada abbiamo trovato Stati Uniti e Fran­cia, due squadre che ora sono in semifina­le ». Pietro Ghedin è il ct della nazionale femminile. Ruolo complicato perché mentre l’altra metà calcistica del cielo avanza ovunque nel mondo, in Italia ci siamo fermati. Una di­visione commissariata, ” praticanti” ridotte al lumicino: « Gli ottimisti dicono che siano venti­mila, i pessimisti quat­tordicimila » , spiega Ghedin.

Italia a parte, il Mon­diale ha svelato un fo­otball in crescita, anzi per molti aspetti cresciuto. Realtà o semplice impressio­ne?
«No, no, si tratta di realtà. Il calcio fem­minile paga ancora qualcosa a quello ma­schile dal punto di vista della forza, della potenza, ma a livello tecnico e tattico il gap è stato praticamente colmato. D’altro canto, in questo Mondiale si sono viste partite che in Italia non riusciamo a vede­re in alcuni campionati professionistici».

Quando è cominciata la crescita?
«Nell’ultimo decennio, almeno in Euro­pa ».

Perché?
«Forse hanno scoperto il business. Però la crescita è stata tra­volgente. In Inghil­terra una decina di anni fa il calcio fem­minile praticamente non esisteva, adesso è una grande realtà con centinaia di migliaia di praticanti».

I « maschietti » , si­stemandosi sulle panchine, hanno contri­buito a questa crescita?
« Qualche tempo fa ho partecipato a Nyon a un seminario organizzato dalla Uefa. La ct della Germania, Silvia Neid, si lamentava proprio di questo, dell’invasio­ne maschile. In realtà, io credo che gli uo­mini abbiano portato nel calcio femmini­le l’esperienza accumulata nei club pro­fessionistici ».

E com’è il rapporto di un tecnico uomo con l’universo calcistico femminile? Lei quali accorgimenti ha usato per non esse­re rifiutato?
« Questa scelta l’ho fatta sette anni fa. Non lo nego, all’inizio era un po’ imbaraz­zato. Però feci una scelta consapevole: la Federazione mi propo­se tre soluzioni, io ac­cettati la nazionale femminile. E’ un mon­do straordinario: pro­fessioniste perfette. L’allenamento è lo stesso che facevo con gli uomini. Nessuno sconto dal punto di vista della durezza: cinque sedute in tre giorni di stages».

Le favorite per il titolo?
«Le statunitensi. Ma non perderei di vi­sta le francesi, una bella sorpresa».

La Redazione

A.S.

Fonte: Il Corriere dello Sport

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