Nato per far gol. Lo dicono i risultati. Che vinca oppure perda, infatti, il Napoli è una di quelle squadre che in un modo o nell’altro un pallone in porta – e spesso anche di più – riesce a metterlo comunque. Ecco perché diventa quasi un caso che l’attacco azzurro sia rimasto a secco per due match di fila, da 219′ in totale (dal 6′ della ripresa contro il Milan): quello di Verona con il Chievo, alla fine pure vincitore, e, quindi, l’ultimo in casa con la Fiorentina. Per carità, non suona ancora alcun allarme, ma la faccenda ispira comunque riflessioni.
I NUMERI – Partendo dallo score- gol di Mazzarri da quando è sulla panchina azzurra. Ebbene, nella sua prima stagione, quando diede il cambio a Donadoni, il Napoli, ben otto volte non riuscì a segnare. Nel campionato scorso, invece, appena due (Fiorentina e Brescia; cioè tanto quanto già quest’anno in quattro gare), più altre tre volte in Europa League (Utrecht, Liverpool e Villarreal). Cinque in tutta la stagione nazionale ed internazionale. E tutte e cinque le volte giocando nel proprio stadio. Al San Paolo.
ANALISI – Un caso? Probabilmente no. Probabilmente una spiegazione c’è e vale anche per il Napoli di adesso. La ragione è strutturale. Questo Napoli, infatti – non sembri un’eresia – è stato costruito per non “ragionare”. Se si vuole: per subire e ripartire. E’ così, soprattutto così, che esalta le qualità dei suoi. Non che non sappia portare sul prato anche una buona organizzazione, ma il suo gioco deve necessariamente passare per gli spazi ampi e per la rapidità di passaggio e d’esecuzione. Insomma: velocità e contropiede, sfruttando la profondità che sanno dare Maggio (di più) e Dossena (un po’ di meno) sulle fasce e i guizzi di Lavezzi nell’uno contro uno. Cosicché i problemi cominciano ( e spesso finiscono proprio con uno zero a zero se va bene) quando il Napoli rallenta, quando va sotto ritmo, quando trova squadre che giocano corte e assai raccolte e, peggio ancora, quando per proprie colpe oppure per meriti avversari non funzionano le fasce. Pure quando c’è Zuniga, che sa il fatto suo, ma che ( come è accaduto nell’ultima partita), aspetta palla prima di partire e per questo non guadagna mai la profondità. E’ allora che il Napoli si perde. Perché per caratteristiche tecniche dei suoi giocatori, non ha palleggiatori. Handicap, questo che inevitabilmente, irrimediabilmente ( come è capitato l’altra notte con la Fiorentina) gli fa consegnare il pallone a chi gli sta di fronte, oppure lo fa rifugiare in quasi sempre inutili lanci dalla difesa a chi sta davanti.
LA STORIA – Corsi e ricorsi. Chi pratica il San Paolo da parecchi anni può fare un tuffo nel passato. Al Napoli di Mazzarri sta accadendo quel che accadde al Napoli bello di Vinicio tante stagioni fa. L’arma di quel Napoli capace d’incantare e divertire era la profondità che Orlandini sapeva assicurargli sulla destra. Poi gli avversari scoprirono il segreto, “chiusero” la porta ad Orlandini e il Napoli smarrì effervescenza, gioco e risultati. Ma ci sono antidoti a queste difficoltà (quando ci sono) del Napoli di oggi. Beh, al bisogno, servirebbero sistemi di gioco alternativi. Più rodati e meglio praticati. Poi, così come capita spesso di vedere in giro, a Mazzarri servirebbe almeno uno specialista sui calci piazzati. Perché Lavezzi, soprattutto lui, ne guadagna ai venti metri, ma quanti gol il Napoli ha segnato su palla ferma al limite dell’area? Praticamente nessuno. E questo non aiuta quando il trio delle meraviglie ha difficoltà.
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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