Un ruggito, un ruggito orgoglioso, come il Leone di Firenze, il Marzocco, un simbolo del potere popolare. Il potere popolare degli stadi, quello che oggi e domani avrebbe voluto i calciatori in campo. E anche gli arbitri. « Come consigliere federale sono avvilito, come cittadino sono preoccupato. Tutto il Paese dovrebbe prendere esempio dagli arbitri, sempre al loro posto, sempre leali, sempre puntuali, sempre corretti» . Per una volta, Marcello Nicchi, presidente dell’Aia, ha ragione a santificarsi: fuori di qui, sull’asse Milano- Roma va in scena il festival della falsità e la fiera della vanità e, a volte, anche il canzoniere della trivialità. Coverciano sembra un fortino. Ma non lo assedia nessuno, solo il caldo torrido. E il Mondo visto da un palcoscenico straordinario come Firenze ha sempre un altro colore, un altro sapore, si è portati a pensar bene persino degli uomini che, normalmente, son più feroci dei leoni.
PARTI – Le parti questa volta si sono invertite. Di solito è il presidente federale che viene qui a far coraggio; ora sono loro, gli arbitri, a fare coraggio al presidente. «Siamo la certezza del mondo federale: fedeli alle regole» , urla nel microfono che fa le bizze un Nicchi convinto. «Noi siamo pronti perché, indipendentemente da quel che succede fuori, qui dentro oggi il campionato comincia » , rincara Stefano Braschi, designatore della serie A. Doveva essere una sfilata: le nuove maglie della Diadora, una concentrazione di vertici federali mai visto prima di ieri a un raduno di inizio stagione. E’ diventata l’occasione per dire al calcio che ha smesso di credere nella sua favola che la gente ha comunque bisogno di un lieto fine, soprattutto quando tutto intorno crolla e l’esistenza diventa faticosa, ha bisogno di un totem a cui aggrapparsi, un simbolo di coraggio, un Marzocco, appunto.
DELUSIONE – Ma forse, come spiegava il Principe di Salina, questo non è più tempo di animali nobili e fieri, questo è tempo di gattopardi. O di camaleonti, animali mimetizzabili. Lo fa capire Giancarlo Abete: «In un ambiente in cui spesso manca il rispetto delle regole e degli impegni assunti, la classe arbitrale si ritaglia un ruolo a sé. Perché gli arbitri credono nelle regole, nelle gerarchie perché senza gerarchie nulla funziona e tutto sfocia in un inutile e caotico assemblearismo » . Intorno ad Abete troppe certezze sono crollate. Da presidente federale ha fatto il suo lavoro, a volte bene a volte male. Ma ha irritato chi da lui si attendeva altre decisioni; e suscitato risentimenti in chi da lui è stato recentemente, in un consiglio federale, trattato con estrema durezza. Dicono che abbiano voluto usare questa storia dello sciopero per prendersi la rivincita, per non dargli una vittoria. E lui replica: «Tra tante voci che non si capisce cosa chiedano, gli arbitri chiedono poco: rispetto, protezione contro la violenza fisica e psicologica» . Peccato che ci si fermi qui, peccato che non si vada in campo.
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro