Dalle nebbie atlantiche allo sciroppo d’afa che impiastriccia Firenze, dall’autunno incipiente delle Far Oer al caldo unto di Coverciano, Cesare Prandelli resta lucido come una spada. Pur avendo il passaporto per Polonia-Ucraina ormai solo da timbrare, con tanto di record registrati, sceglie comunque di non fare sconti ai suoi e a se stesso. Il giorno dopo l’1-0 di Torshavn, tanto brutto quanto utile, il ct accentua così la critica e l’autocritica rispetto all’analisi fornita a caldo (si fa per dire) nello stadiolo Torsvollur. Quel successo sperduto in mezzo all’Oceano non gli è piaciuto e lo ha detto subito; ventiquattro ore dopo, la regia non cambia. Anzi, il tecnico prende al balzo l’imbeccata che gli viene dalla platea dei giornalisti e sbotta:
«Oh, ecco! E’ vero: si è parlato molto del Barcellona in questa vigilia. Troppo, direi. Non l’ho fatto io però. Mettiamo comunque le cose in chiaro: noi non siamo il Barcellona! Loro sono il frutto di anni di lavoro quotidiano. Noi non ci ispiriamo a nessuno, il fatto è che i miei centrocampisti hanno caratteristiche che se sfruttate bene possono produrre risultati. Ma una cosa è certa: quando entriamo in area dobbiamo tirare per fare gol! Il nostro non è un problema di personalità, ma di concretezza, di cattiveria. Detto questo, non è che dobbiamo ricominciare dall’inizio. Però bisogna lavorare e lo faremo».
L’ANALISI – Prandelli, più che alle fradice e stranianti bellezze dell’arcipelago atlantico, ha prestato la propria attenzione alla partita: «Ho dormito poco, mi sono rivisto l’incontro in tv. Mi sembra che le cose siano chiare. Avremmo voluto interpretare al meglio l’impegno. Invece c’è stata molta confusione, molto disordine, soprattutto in mezzo al campo, dove tutti si muovevano con i tempi sbagliati, fuori tempo, favorendo il loro contropiede. Inoltre c’è stato troppa ricerca del fraseggio in avanti. Siamo entrati 6 volte in area, provando ancora a scambiarci la palla… La colpa è anche mia perché in questi mesi ho insistito tantissimo sulla storia di giocare, giocare, giocare sempre la palla. Ma, una volta vicino al portiere avversario, si tira! Per ovviare a questo non è prioritario cambiare gli interpreti, quando lavorare tatticamente per poter attaccare meglio l’area di rigore. In questo senso, verrà anche il momento di sperimentare anche moduli diversi, per essere poi in grado di cambiare. Inoltre l’esperienza di questa partita tornerà utile quando capiterà di trovarci in svantaggio e gli avversari si chiuderanno in dieci nella loro metà campo. Dovremo essere capaci di trovare le giuste contrarie».
LE SCELTE E L’ATTESA – La tattica certo, ma anche l’autostima. Il ct infatti aggiunge un’altra importante considerazione:
«E’ bastato poco per perdere convinzione e giocare con l’ansia di sbagliare. No, non siamo ancora solidi, siamo alla ricerca della migliore condizione. L’obiettivo è essere pronti, in tutti i sensi, all’Europeo ».
Intanto martedì al Franchi, in chiave qualificazione, possono arrivare i punti dell’aritmetica certezza. Lui non ha intenzione di fare rivoluzioni: «Non penso di cambiare tanto –ammette –In questo momento sto valutando gli esterni, che hanno speso molto».Dunque, fuori Maggio- Criscito, dentro Cassani e l’ex compagno Balzaretti. Centrocampo a rombo (con Aquilani che resta dietro a Thiago Motta per ora). Davanti, se stanno bene, Cassano e Rossi (ci sono Balotelli, Pazzini, Gilardino e Giovinco da gestire):
«Contro la Slovenia voglio più spazio e più profondità. Loro verranno obbligati a vincere, noi vogliamo chiudere il discorso qualificazione qui. Rossi opaco? Ha personalità. Il fatto è che i problemi tattici lo hanno coinvolto. De Rossi? Sta bene fisicamente e anche mentalmente. Anche lui però dovrà fare un lavoro diverso. Dagli internichiedo inserimenti mirati e tiro».
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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