Ora ch’è finita, che magari può persino urlare finalmente; ora che non ci sono tracce d’incubi, né più ansie (altrui) da domare: ora che un anno orribile s’è improvvisamente trasformato in un festival del cinema, nella galleria dei ricordi è possibile perdersi. «Io sono felice». La felicità è in quell’attimo fuggente che trasforma un (presunto) incompiuto in un campione, nella gestualità che vale un momento di gloria e una clip per l’eternità: ma ve lo ricordate il gol all’Udinese? E già, ora che l’Udinese è la nuova copertina dell’album di Ezequiel Lavezzi, la simpatica canaglia che ha conquistato Napoli sin dai primi passi, non ci sono più tracce su quei 366 giorni di buio assoluto e nel giardino di casa, il san Paolo, ciò che resta impresso a futura memoria è la dinamica di un’azione da play station.
CAPOLAVORO – Il replay che sfila dinnanzi agli occhi è un cocktail di classe sudamericana sviluppato sull’asse Montevideo-Buenos Aires ma però proiettato nella Napoli dei tenori e mentre al primo controllo improprio di Cavani a qualcuno sta per scaccare un maledizione , il delirio s’è già preso uno stadio intero che incredulo ammira el matador palleggiare e poi servire con un assist fantascientifico el pocho, un alieno sceso sulla terra, che, pum, spara all’incrocio, tra il vuoto pnemumatico d’una stagione intera e la rappresentazione scenografica. «Siamo stati bravi a capitalizzare e sono contento di aver contribuito con un mio gol a questa vittoria. Lo so, devo segnare di più». Trentanove reti in quattro anni ed uno spicchio di campionato, ma stavolta che le tenebre si sono dissolte, è delizioso nel chiuso nello spogliatoio di Castelvolturno mettersi a giocare con se stesso e scovare il capolavoro.
GRAZIE UDINESE – Il passato che ritorna è una istantanea in bianconero, perché l’Udinese c’è sempre negli appuntamenti di Lavezzi: la prima rete, nel 2007, fu un guizzo da predatore, al Friuli, in uno 0-5 quasi unico nel suo genere; poi una doppietta; e in assoluto cinque graffi sulla pelle d’una squadra divenuta la vittima preferita e quasi predestinata. Trentanove volte Lavezzi, poche ma buone, soprattutto belle, come lo scatto e fuga ad Anfield, spaccando in due i reds; oppure come quel coast to coast in una Cagliari seducente, novantaquattresimo minuto, l’arbitro con il fischietto tra le labbra e il pocho che corre, corre, corre incontro alla gioia per uno 0-1 rocambolesco. Oppure la genialità del cucchiaio, l’ultima gemma prima dello stop prolungato: lui seduto in terra, Nesta e Abbiati intorno che non ci possono credere d’essere stati infiocchettati da un pallonetto; e ancora il cucchiaino a Julio Cesar, con tanto di servizi smarcante di pari bellezza prodotto da Zalayeta con il tacco.
HE’S BACK – Il pocho è tornato dodici mesi dopo, e per farlo ha scelto la capolista imbattuta, la miglior difesa del campionato, la sua amica carissima che sembra essere divenuta una musa ispiratrice, ed un gol da raccontare a suo figlio Tomas, oppure ai nipotini o anche ai bambini dell’Ansur, i niños del Sur, ai quali dedica se stesso: la staffilata che rimette a posto i conti con il destino, che collega un Lavezzi all’altro, è una sciccheria assoluta che però scivola via senza lasciar traccia d’euforia sull’indole distante d’un uomo altruista per natura: «Sono qui da tempo e ormai si sa bene come la penso: a me dà soddisfazione anche un assist. Però, capisco: chi fa l’attaccante deve segnare ed io devo cominciare a farne qualcuno in più. Ma ora sono contento». Un anno dopo, il Lavezzi che avanza verso a Catania, è un uomo riverniciato pubblicamente e quel missile terra-aria squarcia nuovi orizzonti e trascina in direzione Monaco, l’altra metà del cielo da conquistare con una magia: è la coppa dei campioni, pocho….
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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