Le favole esistono: e all’Antigua Masia, ognuno le viveva con gli occhi spalancati e lo sguardo che andava al di là delle finestre. Il Camp Nou era – è – la terra promessa, ma prima, molto prima, per arrivare e percorrere a piedi quei cinquecento metri; prima, molto prima delle urla della folla, c’era da fare la gavetta. La cantera, insomma. Il Messi pargoletto che atterra da Rosario – con il contratto firmato su un tovagliolo di carta dal suo papà e da Carles Rexach che lo scovò in Argentina – è un bimbo come gli altri, tanto talento e nessun privilegio e la routine è una scuola di vita da attraversare seguendo un percorso prestabilito, in cui non si fanno sconti. L’Antigua Masia è la dimora della meglio gioventù che il Barça alleva a modo suo, a quattro passi da quello stadio che rapisce ed infiamma, entusiasma ed elettrizza: una sorta di dependance per i ragazzi, su cui un club che cura persino i dettagli, vigila ed interviene. I palloni sono ancora di cuoio e per trasformarli in oro servono i sacrifici e la dedizione, l’applicazione e la buona volontà e la pulga che ha già cominciato a strabiliare, ancor prima di annunciarsi al mondo deve rispondere ai requisiti d’una società modello. Il giovin signore condivide con i pari età le varie fasi della giovinezza, fa quel che deve e sa come si fa: e per rimuovere ogni traccia di nostalgia, ci sono pur sempre i genitori in giro. Ma lui è lì con gli altri, a scalare i gradoni della celebrità, a studiare se stesso e il proprio infinito. E ora che per entrare al Camp Nou, il pullman imbocca il vialone che conduce dove c’è la gloria, l’Antica Masia, fascinosa e accattivante, è sempre lì a ricordare ancora a Messi come nasce, dov’è nato un campione.
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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