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CDS- E’ rosa il futuro del calcio

LA NUOVA FRONTIERA
a rivincita delle donne ha gli occhi chiari e lo splen­dido sguardo felino di Hope, statunitense di sangue italia­no. La sua parata al momen­to dei rigori decisivi ha esal­tato un Mondiale che sino a qualche tempo fa avrebbe conquistato spazi esigui, sui giornali e in tv. Quella parti­ta che ha proiettato gli Usa in semifinale ai danni di Marta, l’alter ego femminile e brasiliano dell’argentino Messi, è entrata nell’imma­ginario col­lettivo, al pa­ri altre gran­dissime par­tite vissute al maschile, Ita­lia- Germania 4-3 o Argenti­na- Inghilter­ra del gol più bello di tutti i tempi (e della mano più malandrina di tut­ti i tempi) realizzato da Ma­radona. Forse quella parata, quella sfida diverrà un mo­mento di passaggio, da cal­cio (femminile) di nicchia a sport popolare e amato. So­prattutto ap­prezzato.

Perché que­sto mondiale tedesco, con gli stadi pie­ni, settecen­tomila (su no­vecentomila) biglietti ven­duti già prima del fischio d’avvio, ha svelato al mondo che questo football costretto per anni a vivere di luce ri­flessa (quella maschile) può vivere di luce propria. Per­ché ha le «stelle (Hope Solo o Birgit Prinz o Marta), perché ha la qualità tecnica, perché ha contenuti tattici, perché si esprime in velocità.

CRESCITA –La Germania, evi­dentemente, aiuta. Paese calcistico, anche dal punto di vista dell’altra metà del cie­lo, con un milione e duecen­tomila donne, di età variabi­le, che inseguono un pallone. Stadi pieni di gente festante, come nei giorni felici (so­prattutto per noi italiani) del 2006. Questo è un calcio che, al contrario di quello ma­schile, non soffre di pressio­ni. In occasione della sfida con il Brasile, un paio di tifo­si statunitensi, inalberavano un significativo striscione:«Marry me, Hope, I’m Solo», sposami, Speranza, io sono Solo. Certo, la ragazza ha oc­chi belli, una statura notevo­le (e, come dicevano i nostri nonni, altezza è mezza bel­lezza) ma anche due mani che tanti portieri di sesso di­verso possono invidiarle. Ne­gli anni la crescita è stata nu­merica, sicuramente, ma an­chequalitativa.

PASSIONE –Anzi, gli Stati Uni­ti, che sono la nazione-pilo­ta, con il calcio (il soccer) che le bambine cominciano a giocare sin dalle nostre ele­mentari, in qualche misura si sono impoveriti. A fine an­ni Novanta, dominavano in­contrastati avendo alle spal­le un serbatoio di 18 milioni di praticanti a vario titolo; le calciattrici migliori arri­vavano a guadagnare anche cin­quantamila dollari. Ora il dominio è meno incontrastato e i gua­dagni decisamente ridotti (a un decimo). Però, il movi­mento cresce: secondo uno studio della Fifa, in Brasile nel 2001 si contavano 750 calciatrici tesserate, nel 2006 erano 9.907 (per 812 club), in Inghilterra in sei anni sono passate da 40 mila a 139 mila, in Fran­cia da 18 mila a 60 mila. An­che se poi nessuno può reggere il passo degli Stati Uniti: cin­quemila club per 1,7 milionidi calciatrici tesserate.

FIGURINE –Nel pallone vale ancora quel che un giorno disse l’indimenticato Rozzi, all’epoca presidente del­l’Ascoli, a un calciatore che gli chiedeva l’aumento:«Ma se non sei nemmeno nell’al­manacco Panini».Ora, loro, le colleghe di Hope, hanno trovato un posto anche nelle figurine, a conferma che non sono più« figlie di un Dio minore». Fanno ascolti, regalano maglie, come ad esempio ha fatto Josefine Oqvist, svedese, dando (quasi) scandalo con un mi­ni- spogliarello (« Ho scelto quel tifoso perché mi ha in­citato per tutta la partita»), si esibiscono sulla copertina di Playboy (come hanno fat­to le tedesche Annida Dop­pler, Ivana Rudalic, Julia Simic, Pristina Gessat e Sa­lina Wagner). Alcune piac­ciono perché sono belle, ma l’aspetto della bravura co­mincia ormai a essere pre­valente.

La Redazione

A.S.

Fonte: Corriere dello Sport

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