Nell’era dei normalizzatori, Morgan De Sanctis è un grande portiere normale. Roma lo scopre, e si lascia affascinare, in un pomeriggio all’Infernetto, quartiere del quadrante sud- ovest della Capitale. L’occasione è la presentazione di un libro sul ruolo del portiere. De Sanctis è uno dei tredici intervistati tra mostri sacri del passato, grandi certezze del presente e piccole speranze del futuro. Novanta minuti, il tempo di una partita, a parlare con semplicità a giovani portieri romani radunati dal responsabile dei portieri della scuola calcio Lazio, Alessandro Carta, che con Gino De Luca, nel club biancoceleste anche lui, è l’autore del testo. Tra gli ospiti c’è il responsabile del settore giovanile della Lazio, il generale Giulio Coletta.
IN CATTEDRA PER I PIU’ GIOVANI –La semplicità di De Sanctis è nelle sue parole, nel suo modo di porsi, nelfatto che capisci di avere davanti un giocatore di serie A di una grande squadra italiana, nazionale, tra i più in forma del momento nel suo ruolo, che una domenica dopo aver conquistato Milano prende il treno solo soletto e viene a Roma ad onorare un impegno preso. E che, per esempio, non ha un tatuaggio! E già, lui ci scherza su così quando glielo fanno notare:«Non ho nulla contro i tatuaggi, diciamo così: ma per non fare polemiche inutili che volete che vi racconti, che non ho ancora trovato quello che mi piace?». I giovani portieri e i loro tecnici che sono in sala al KiFlow, lo ascoltano parlare del suo primo maestro, Gino Di Cenzo«persona con la quale ancora mi sento, non spessissimo perché non c’è sempre tempo, ma il filo non si è mai spezzato». E poi come si supera la paura di sbagliare:
«Non sbagliare che è meglio… –dice ad Antonio, un giovane portiere della Lazio– Oppure dai la colpa agli altri, perché sai quanto volte la daranno a te. No, seriamente: fai tesoro degli errori, lavoraci. Il portiere più bravo è quello che sbaglia meno. E questo vuol dire che si sbaglia ». E ancora, Alessio vuole sapere
come è dal punto di vista emotivo il pre-partita di un portiere:«Io un po’ mi emoziono ancora. E questo penso sia il bello del nostro mestiere ».
DOPO IL TRIONFO –Inutile negare che davanti agli occhi di tutti, i tifosi del Napoli che sono ovunque e c’erano anche ieri nel pomeriggio romano di De Sanctis, ma pure quelli laziali e romanisti presenti in sala, ci sono le immagini del trionfo azzurro a Milano, sabato sera. De Sanctis a fine partita si è fatto prendere da un’immagine commentata con gli amici più stretti e trasferita alla platea romana:«Lo dicevo stanotte, è bello sentire “oje vita mia” al San Paolo, ma è stato ancora più bello ascoltarlo a San Siro». De Sanctis è attento all’etichetta, quando i ragazzi cominciano a chiedergli del Napoli fa presente agli organizzatori che sarebbe bene parlare del libro e del ruolo del portiere, lasciando il resto fuori, almeno per un pomeriggio ( e da oggi sarà in Nazionale). Due piccole deroghe sono il massimo che può concedere, nulla più:«Il nostro obiettivo? No, parole scomode non le pronuncio… Dico che quest’annobisogna provarci fino all’ultimo. E come dice il nostro tecnico i conti si faranno alla fine».Gli chiedono quale è il segreto di questo Napoli:«Non faccio fatica a dirlo: un presidente grande imprenditore e Mazzarri che sa trasferirci la voglia di soffrire e lottare. Questo ci fa provare a colmare il gap con Inter e Milan».
I SALUTI –Le domande dei ragazzi continuano (c’è una scuola portieri di Acilia), De Sanctis racconta come è cominciata:« Beh, da bambino non è che avessi troppo il pallone tra i piedi, ma essendo il primo figlio mio padre ci teneva che giocassi al calcio. E così mi sono messo in porta. Ho capito che era il mio posto, che nell’area piccola mi sentivo a mio agio e che fuori da lì potevo far danni».
Applausi a scena aperta, Morgan si congeda così:«Fatemelo dire, forza Napoli». Glielo fanno dire. E lo applaudono ancora.
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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