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CDS – De Laurentiis: “E’ Napoli a darmi la forza”

De Laurentiis: "Non consento a nessuno di giudicarmi, dirò sempre quello che penso"

DIMARO (TN) – Scende dall’elicot­tero alle 11, partecipa alla messa ce­lebrata dal cardinale Sepe; alle 15.30, torna al campo per parlare ai tifosi radunati in tribuna; e dopo l’amichevole tiene una conferenza stampa che terminerà poco prima delle 21. E’ un De Laurentiis deter­minato, affatto pentito della reazione avuta dopo la compilazione dei ca­lendari, caparbio. Tira fuori dalla ta­sca il messaggio fattogli pervenire dal Presidente della Repubblica, Na­politano, per gli 85 anni della fonda­zione del club. Lo leg­ge con orgoglio. Poi attacca: «Non accetto lezioni da nessuno, tantomeno da chi è intervenuto nella vi­cenda pur non occu­pandosi di calcio, sti­molato forse da chis­sà chi. Il presidente del Napoli è fatto co­sì, ha diritto alla sua libertà e se qualcosa non va, s’inquieta, li­tiga con i suoi. Mi di­spiace per l’amico Cellino che mi ha rin­corso ma c’erano cento cavallette di giornalisti che mi inseguivano e non ci ho visto più. Il commento di Pre­ziosi? Non devo rispondere a Prezio­si. Ma io questo Paese non lo sento democratico. Per me il Napoli è un fatto sentimentale, filosofico e non tollero a nessuno di giudicare i miei comportamenti. Credo di aver fatto bene in questi sette anni. Ed ho dirit­to di infuriarmi se vedo che le cose non vanno».

De Laurentiis parla dal palco del teatro comunale di Dimaro. In pla­tea, una trentina di giornalisti, oltre a tutto lo staff dirigenziale. E’ calmo, riflessivo, pacato. «Nessuno ha rea­lizzato che la mia arrabbiatura non è stata per il Napoli bensì per tutto il calcio italiano che nelle Coppe va sempre più indietro. Qui si litiga per un tozzo di pane quando ci sono pro­blemi enormi. Non c’è cultura d’im­presa e siamo ancora guidati da un presidente che lavora per una ban­ca. Non parliamo dei diritti televisi­vi. Non possiamo curarli in proprio perché sono stati ceduti ad Infront che non ha depositato alcuna garan­zia. Ed all’estero i diritti sono stati persino svenduti. Sono io che ho chiesto perché non venivano vendu­ti in Cina a differenza del calcio in­glese. Credo che non si abbia co­scienza e non si ha voglia di prender­la ».

Modula la voce, sembra un attore consumato, nessuno si annoia ad ascoltarlo: «In Lega non si può dire che sono troppe venti squadre in A; non si può proporre di giocare a Na­tale; non è possibile portare avanti idee concrete e di mondializzazione del nostro calcio. E così andiamo tut­ti allo sbaraglio. C’è gente legata ad un calcio del passato e non vuole cambia­re. Io ho dimostrato che non è vero che a Napoli si possa lavo­rare e quando sento dire a Galliani che nel calcio si perde, mi addolora».

A metà conferenza s’infervora: «Ho il po­polo napoletano dal­la mia parte, sono lo­ro che mi accompa­gnano e nel mondo ce ne sono dodici milio­ni. Se non fosse stato per loro me ne sarei già andato. Poiché ho preso un impegno, resto. Ma ogni vol­ta che propongo delle accelerazioni corrette, mi rispondono che non si può. E non mi sta bene. Il mio è un dissenso passionale e non consento a nessuno di interferire. Ho chiesto la panchina allargata; ho proposto il mercato orientale; vorrei un campio­nato femminile di serie A; avrei volu­to acquistare una società satellite di Lega Pro. Niente di tutto questo. Hanno invidia del Napoli? Mi dispia­ce per loro ma se io vedo qualcuno fare bene cerco di ascoltarlo, imitar­lo, non ostacolarlo».

Chiude sul campionato: «La Juve sta lavorando molto bene, il Milan e l’Inter sono già forti, la Lazio s’è rin­forzata, la Roma intriga e bisogna vedere il Palermo come impiega i soldi di Pastore. Insomma sarà una lotta per afferrare un posto in Cham­pions perchè ce ne saranno solo tre. Ma per noi dovrà essere un anno di ulteriore crescita ed esperienza in ambito internazionale».

La Redazione

A.S.

Fonte: Corriere dello Sport

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