Di padre in figlio: ventun anni dopo, è un bel rivedere; e non c’è malinconia per la giovinezza perduta. Mosca, 7 novembre 1990: l’ultima volta, in quella nottata d’un giorno da cani, c’erano Diego e Moggi, le lacrime e la disperazione per un ciclo che (si avvertiva) stava finendo; e, sulla panchina, un gentiluomo di poche parole, Albertino Bigon, teso a curar le ferite lasciate dai rigori e da una eliminazione dolorosa. Manchester, 14 settembre 2011: la rinascita s’è compiuta e in quel capolavoro avviato nel 2004, l’autografo (defilato, per discrezione) di Riccardo Bigon rimane in un angolino dell’Etihad Stadium, ben lontana dai riflettori, tra il dg Fassone e il direttore amministrativo Chiavelli, in una penombra scelta come stile di vita. C’è un buco enorme che ha inghiottito Napoli ma il filo che lega i ricordi da Mosca sino a Manchester è in casa Bigon, in un genitore scudettato e nel suo erede, protagonista all’interno dello staff di un piccolo capolavoro: dev’esser bello guardare papà negli occhi e ripensare a ventun anni fa.
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro