La storia è ormai leggenda: e in quei numeri c’è la statura d’un campione, la sua indiscutibile immensità, l’autorevolezza di una stella capace di «oscurare» Careca e Altafini, di affiancare Diego Armando Maradona e scorgerlo da vicino. Lui è «na cosa grande»: e l’ha detto a parole sue, novantasette gol in meno di tre anni, una sequenza esaltante di doppiette e di triplette, la consapevolezza nei propri mezzi e però anche l’umiltà di lavorare sui difetti, di prendere il pallone e portarselo a casa ma per crescere, maturare, migliorare. Lui è Edinson Cavani: e mentre intorno s’ode l’eco d’un Universo intero attratto quasi magneticamente da quella classe cristallina, l’immagine che balza agli occhi nella Torino dipinta d’azzurro e l’esultanza a maglia tirata per mostrarla alla propria gente, quell’atto di fede che vive il presente e però non ignora – non può – il futuro, restando aggrappato alla diplomazia pura, perché è inutile, superfluo e pure inelegante spingersi oltre per leggere nella palla di vetro e men che meno in quella di cuoio.
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