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Cavani, un altro dischetto stonato

Ora glielo metto là. Cosa pensa un rigorista quando va sul dischetto? La memoria è un concentrato di ricordi: magari riflette sull’angolo, sull’ultima esecuzione o anche sulle abitudini del dirimpettaio. In fin dei conti, è un momento (topico) ma va tutto concentrato in quel giro brevissimo di lancette, nella sicurezza di se stesso e forse anche nelle decisioni del fato. Oppure no, inutile star lì a riveder se stessi, meglio rimuovere ogni file e andare dritto per i fatti propri. Siena-Napoli vive di episodi e la centralità, minuto trentaquattro della ripresa, è su quel dischetto fatale, un cerchietto bianco che non è un volano ma un nemico ormai dichiarato, come si vede a posteriori, quando Pegolo è sommerso dall’abbraccio dei compani e il Matador disperato è piegato su stesso, a chiedersi cosa sia successo di nuovo, Eppure Cavani ci va con la sicurezza di chi ha appena segnato al Bologna, pur nella tensione d’una gara da rimettere in piedi: proprio come al «Franchi», con il Siena scappato sull’1-0 e la possibilità di riafferrarlo in tempo utile, infilando la cinquantesima rete che invece resta lì, appesa alla malinconia. 

BRAVO PEGOLO- Sei giorni prima, con Gillet che battezza l’angolo sinistro dell’attaccante, el Matador è freddo ed elementare: calcia nel mezzo della porta vuota, si prende la palla e prova la rimonta mancata. Stavolta, quei sette metri e trentadue centimetri devono sembrare dimezzati, oppure no, succede: ma Cavani è sereno, osserva Pegolo, cerca di non farsi leggere nello sguardo, poi cambia l’esecuzione precedente, ricorre a quella sua abituale, che sembra garantirgli maggior tranquillità. Preferisce, stavolta, la botta alla destra del portiere, tentando di rendere imparabile quella randellata a Pegolo, che invece ci arriva, con i pugni, e manda in frantumi il sogno.

E TRE- L’esercizio è inevitabile: ma quanto costano questi rigori al Napoli? E’ una chiacchierata da bar sport, un diversivo per affogar la delusione nello stanzone, dove ricompare la ciabattata di Hamsik alle stelle contro la Juventus, in una sfida finita 3-3; e poi anche il prodigio di Julio Cesar sempre contro lo slovacco, prima che Campagnaro capitalizzasse la respinta. L’artimetica non è una opinione, ma alla fine il problema diviene psicologico: due rigori falliti da Hamsik quest’anno e due sciupati nella passata stagione da Cavani, uno con l’Udinese (1-2) e l’altro con il Catania, poi battuto.

LETALI- Gli undici metri da indigestione riemergono a Siena e alla vigilia della Coppa Italia, un peso da rimuovere anche statisticamente: esattamente dodici mesi dopo, riecco l’Inter al San Paolo, con quel che segue dei corsi e ricorsi. Finì 0-0, prima di andare alla roulette e ritrovarsi fuori: tutta colpa di quel dischetto, polvere bianca negli occhi dei rigoristi di quella nottata. Per dirla tutta, andò a finir male, pure tre anni fa, febbraio 2009, pareggio a Torino, prima di intrufolarsi nella cosiddetta lotteria e ritrovarsi con il regolo sbagliato: fuori dalla Coppa Italia pure in quella circostanza, con tanto di tristezza. E’ una sorta di sindrome, oramai, che ha colpito Hamsik e Cavani, che li ha annebbiati nel momento decisivo, in quello che in teoria – ma soltanto in teoria – è un gioco da ragazzi. E al prossimo rigore?  

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

A.S.

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