La carica dei 101 Cavani si sprigiona all’Olimpico, l’ennesimo capolavoro di un quinquennio sbalorditivo: e in quella parabola disegnata da un artista imprevedibile, c’è la sintesi (simbolica) d’un finale di stagione da vivere con il cuore in gol. I fatti separati dalle opinioni si scrutano nel replay della memoria che, folgorata dall’intuizione, basta ed avanza a raccontare una prodezza da lasciare a bocca aperta l’intero Olimpico e a spingerlo a chiedersi dove e come abbia estrapolato quel numero circense: palla sul versante sinistro offensivo, in corrispondenza con il vertice dell’aera di rigore; la controlla, la doma, la attira a sé usando il piede come una calamita, prima di puntare Kjaer, di spostare la sfera per aspettare il cedimento dell’avversario e scovare la curva di passaggio fino all’angolo opposto. Roma 1, Napoli 2: e che poi sia un’illusione, lo riveleranno soltanto le streghe che s’addensano in zona-Cesarini.
UN ANNO DOPO – Cavani contro Cavani, a tamburo battente, a ritmo incalzante, con una media straripante nella sua versione partenopea: trentatré reti nella sua prima annata, un exploit di dimensioni ciclopiche che rischia persino d’essere oscurato da un bis d’eguale portata, perché ora – a tre gare dalla conclusione del campionato e con la finale di coppa Italia da attraversare – s’è già spinto sino a trentuno gol, soltanto due in meno dal personalissimo tetto e quindi l’anticamera d’un record che può dilatarne ulteriormente l’autorevolezza (ri)confermata contro la Roma con un gesto tecnico di indiscutibile bellezza infilato nel contesto di una serata normalissima e, sino a quell’istante di folgorante ispirazione, persino faticosa.
IL LEADER – Un Cavani così diviene l’arma letale per liberarsi della concorrenza nella corsa alla Champions e, comunque, un valore aggiunto che può spostare l’equilibrio entusiasmante d’una mano di poker per l’Europa che conta: la risposta all’Inter – che ha nell’eterno Milito la sua punta acuminata ma di diamante – o alla Lazio – che però ha perso Klose da un bel po’ o persino all’Udinese dell’infallibile Totò Di Natale è un matador (matad’or?) cinico, essenziale, spregiudicato come all’Olimpico, quando sceglie la soluzione più complessa per ritagliarsi i titoli di una copertina che gli viene riservata oramai da due stagioni, da quando ha scoperto a Napoli la sua vena così poetica.
NUMERO PERFETTO – Il calcio è un universo cangiante ma l’Edinlandia partenopeo è un parco giochi che resta sempre aperto e: la mini-crisi (?) avvertita in tre partite (con la Juventus, la Lazio e l’Atalanta), quella pausa di riflessione utile per respirare, è stata spolverata immediatamente via dall’ennesima raffica di reti infilate tra il Novara, il Lecce e la Roma, tre modi diversi di essere se stesso (un tap in, un contropiede di cinquanta metri, un saggio della propria genialità) e di esibire il campionario di un attaccante da museo del calcio moderno, un uomo bionico che va a coprire sul primo palo della propria porta in occasione di angoli e punizioni e finisce per essere stopper degno e che, poi svestendosi da quei panni, attende la palla che Pandev gli lascia scorrere sull’interno sinistro e lui, novello mago Houdini, palleggia con l’intuizione e poi sistema la propria perfida bellezza all’incrocio con le stelle. Mica un illusionista!
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.