E al settimo impossibile riposare: anche se le streghe che s’accavallano intorno a quel dischetto succhiano l’anima e inducono all’inquietudine. Lassù qualcuno lo chiama: e in quegli undici metri che separano dalla Juventus e che avvicinano ulteriormente alla storia, c’è un uomo solo a governare le tensioni e le paure, a dominare i sogni e la tensione, a ripensare alla Lazio, al rigore sparacchiato tra le stelle, affogato nella abbondanza d’una tripletta. Il dischetto (bianco) volante che riconsegna la felicità immediata e sgombera «Marassi» da quella nuvoletta di stress è apparentemente un gesto d’una semplicità disarmante, ma mentre intorno s’odono i fischi della Gradinata, in quel matador ch’è in meditazione s’accavallano pensieri sparsi che introducono ad intravedere orizzonti da esplorare: «Io a Napoli sto bene e rimanere qua è stata la scelta migliore che potessi fare: sono rimasto per vincere e per lasciare il segno». Pum, piatto destro, nell’angolo lontano, in quel macrouniverso in cui ora le braccia spalancate di Edinson Cavani vanno a rifugiarsi, per raccogliere il vento e pure la gloria, per sentirsi con fierezza capolista e capocannoniere, per rimettere a posto i conti con se stesso e cancellare quella macchiolina d’un mercoledì straripante.
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