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Cavani bomber bionico

Rino Foschi portò il centravanti uruguaiano in Italia per la sua corsa e la sua grande generosità

Non avesse fatto il calciatore, quasi certamente l’avremmo trovato alle Olimpiadi a caccia di una medaglia ai Mondiali di atletica leggera in cerca di un titolo sulla media e lunga distanza, o anche maratona. Edinson Roberto Cavani Gomez, nato a Salto a nord di Montevideo, il 14 febbraio 1987, è nato con il fisico di atleta. Da piccolo lo chiamavano «Botija», bottiglia, per via di quei lineamenti esili e fragili che poi hanno acquistato massa muscolare man mano che cresceva e faceva palestra. Il primo a scovarlo fu Pablo Bentancur, il procuratore di origini messicane che gira l’Uruguay in lungo ed in largo (e non solo l’Uruguay) a caccia di futuri campioncini. Lo vide che era poco più che un bambino, 12 anni, e che già sgambettava sui campetti di Salto correndo da una porta all’altra e facendo indifferentemente l’attaccante ed il difensore. «Questo ragazzo viene con me a Montevideo, diventerà un grande calciatore», disse Bentancur al papà di Edinson, Luis, ex calciatore, soprannominato «El Gringo» per la «garra» che metteva in campo.Con Bentancur, nel residence riservato ai giovani del vivaio del Danubio, già collaborava un altro fratello di Edinson per cui non fu difficile convincere i genitori di Cavani a concedere il via libera al trasferimento. Nella Capitale, «Botija» si allenava e studiava. Soprattutto correva più dei suoi coetanei. Li seminava lungo il terreno da gioco, avendo già scatto e resistenza a quell’età. Intanto con la crescita andava anche strutturandosi fisicamente. «Al Danubio esiste una buona scuola di formazione per i giovani. Il vivaio è al primo posto nelle priorità del club. Non a caso da lì sono usciti calciatori a volontà. Fanno tecnica di base ma anche palestra con istruttori preparati», confida Bentancur che aveva suggerito al Napoli di prendere anche Gaston Ramirez prima che passasse dal Penarol al Bologna ed oggi in Inghilterra, al Southampton.

FISICO IMPECCABILE – Cavani a diciotto anni era già in prima squadra al Danubio: nove presenze, quattro gol. E l’anno dopo nell’Under 20 dell’Uruguay (14 presenze, 10 gol). Ma prima avrebbe conosciuto l’Italia, la nazione d’origine del nonno paterno, cresciuto a Maranello ma poi trasferitosi in Sicilia per motivi di lavoro. La conobbe in occasione del Torneo di Viareggio a cui partecipava la squadra giovanile del Danubio. Già lì aveva impressionato qualche addetto ai lavori dal fiuto spiccato. Li aveva colpiti per le sue qualità fisiche, per l’agilità con cui si districava in ogni zona del campo, per la resistenza alla fatica, per la continuità d’azione. E l’anno dopo Rino Foschi che lavorava a Palermo (oggi al Genoa) convinse Zamparini a prendere quel calciatore del Danubio, «perchè intanto era già una macchina da corsa e che ci sapeva fare palla al piede», sborsando cinque milioni di euro.
VOGLIA DI ARRIVARE – Ma Cavani aveva una voglia smodata di arrivare e sfondare nel calcio. Senza grilli per la testa, tanto era innamorato di Maria Soledad conosciuta a Montevideo. Senza lasciarsi andare a tavola, il tanto che basta e niente cibi grassi. Senza saltare un allenamento, anzi alternandolo con il lavoro in palestra e con supplementi continui. Il Palermo, la Nazionale, il Napoli. E chiunque l’ha avuto alle dipendenze è rimasto sbalordito da quel fisico d’atleta che ha un cuore dai 45 battiti al minuto, soltanto il 6 per cento del corpo di massa grassa, il 90 per cento di massa magra, il 50,7 per cento di massa muscolare rispetto al peso corporeo. Alto un metro e ottantacinque per 83 chili, quel ragazzo partito da Salto a 12 anni era diventato un superman, un atleta formidabile più che un ottimo calciatore.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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