E’ aperto per ferie: e oltre le siepi, in realtà la Pineta, in quel campo ch’è terra per nessuno, il bunker viene spalancato per mancanza assoluta d’adrenalina (e d’interessi). Benvenuti – e sul serio – a Castelvolturno, un’oasi in genere di stress trasformato in un angolo di pace, uomini che hanno smesso di convivere sull’orlo d’una «crisetta» di nervi e che possono (finalmente) godersela, lasciandosi alle spalle (o nello spogliatoio) l’ansia da prestazione, giocandoci su goliardicamente, setacciando il vuoto che c’è intorno per una ed una sola stasera. Napoli-Psv è la quintessenza del nulla, la partita fantasma da ossequiare per esigenze di calendario, il match più inutile d’una stagione già arricchita della qualificazione ai sedicesimi di Europa League: ma il calcio che si spinge al di là dei tre punti, è anche orgoglio personale e senso d’appartenenza, passione che vive e desiderio di essere.
CLAMOROSO! – Castelvolturno, ma come Milanello e Appiano e come Vinovo e qualsiasi altra residenza calcistica, è un santuario altrimenti innavvicinabile, un tempio inviolabile, avvolto nel mistero di vigilie che durano in eterno e si consumano attraverso strategie, mosse e contromosse, depistaggi e messaggi sbagliati, «fratini» arancioni che consegnano la titolarità del ruolo e sguardi incrociati per cogliere indicazioni. Castelvolturno, al solito, si nasconde tra quelle pareti che segnano la frontiera tra il pubblico ed il privatissimo, muri eretti che però hanno crepe, altrimenti che gioco sarebbe? E però, stavolta, verificata l’assoluta inesistenza d’un pericolo da evitare, avanti tutti, per vedere l’effetto che fa….
COSI’ FAN TUTTI – I riti sono eguali a qualsiasi latitudine e la rifinitura, quando dentro c’è il sacro furore che trascina alla ricerca dei tre punti, serve per scremare, per rimuovere le ultime incertezze, per ripassare le lezioni, palle inattive e giocate offensive, diagonali difensive e rimesse laterali, una lustratina alle idee ed una ripulitura ai suggerimenti d’una settimana intera. E però stavolta c’è ben poco da aggiungere a quanto ciò sancito dal campo: e allora, riscaldamento classico, una corsetta per sciogliere i muscoli e poi, a voi il pallone.
LA SIMULAZIONE – Si comincia attaccando la fantasia, spingendosi all’assalto delle ombre: undici contro zero, con sagome da immaginare, paletti che rappresentano un nemico invisibile, il pallone tra i piedi di Frustalupi – il vice di Mazzarri – che induce a descrivere l’atteggiamento giusto, tra movimenti d’una fiction nelle quali gli attori protagonisti sanno leggere perfettamente il copione. E’ un quarto d’ora di calcio da decodificare in se stessi, negli input già ricevuti e semplicemente da rinfrescare, prima che sia calcio vero.
SI GIOCA – Ma quando tra Napoli e Psv sarà agonismo (?) e comunque competizione, andrà eseguito lo spartito che viene ripassato con le casacchine per i titolari e le «riserve» in stile casual: stavolta, undici contro undici, su campo ridotto, però con gli schemi da eseguire, la ricerca degli spazi e degli angoli di passaggio, le sovrapposizioni, qualche divagazione che si concedono Vargas e Campagnaro, Mazzarri che può starsene disteso in panchina e Concina, poveraccio, che sta al centro del campo a raccogliere acqua a catinelle. Però è 3-4-2-1, con la sorpresa dell’ultima ora, dell’ultimo secondo, che da pathos al mercoledì più insolito e godibile che si ricordi: Dzemaili s’arrende, colpa di un affaticamento muscolare che lo rimanda nello spogliatoio per evitar guai più seri. E, proprio come se fosse (quasi) tutto vero, al calar delle tenebre si va a casa: il ritiro comincia stamattina.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.