Là dove c’era un prato adesso c’è un palazzone, poi un altro e un altro ancora. Castello di Cisterna nel 1986 aveva già deciso di non essere un paese contadino e aveva scelto di puntare sulle grandi fabbriche della vicina Pomigliano. Fu allora che Vincenzo Montella lasciò, a 12 anni, la cittadina dove era nato e cresciuto. Prima destinazione Empoli, ma quel paesone di pianura torna sempre nella sua vita. «Vincenzo era un predestinato» e la voce di Aniello Rega si fa orgogliosa. Presidente onorario del San Nicola calcio e sindaco di Castello per dieci anni, Rega ha certezze incrollabili su Montella: «Da bambino prima e da ragazzino poi, aveva una visione di gioco e un senso tattico che gli hanno consentito di essere un grandissimo calciatore e un allenatore di successo. Vincenzo era molto più maturo degli altri, un modello dal punto di vista comportamentale da sul piano calcistico».
La famiglia Montella ha perso da qualche anno il riferimento di mamma Giuseppina, adesso resta papà Nicola, ex operaio della Fiat e assoluto punto di riferimento per Vincenzo e i suoi quattro fratelli. «Nicola era un lavoratore serissimo – prosegue Rega – non si vedeva quasi mai in città e si divideva sempre tra casa e fabbrica. Non seguiva nemmeno le partite del figlio ma si informava sempre, chiedeva se era bravo. E lo era, certamente se lo era».
In coppia con lui, in attacco, giocava Mimmo Alaia. Vincenzo è il suo padrino di cresima, Mimmo lo sente almeno due volte a settimana. Gli racconta della sua terra, di come sia stato sotto scorta per due anni dopo aver denunciato, da consigliere comunale, quanto accadeva a Castello di Cisterna. «Siamo stati insieme per tre giorni a Natale, la nostra amicizia ha radici antiche. Ma di domenica non abbiamo parlato, io tifo per il Napoli». E i ricordi vanno a quando Vincenzo aveva simpatie per il Milan. «Ma poi fummo “folgorati” da Maradona. Come non ammirarlo e tifare per lui? Vincenzo in particolare era incantato da Diego». Attaccante veloce e tecnico, Vincenzo Montella però all’esordio aveva un altro ruolo. «Era atletico, plastico, gli piaceva tuffarsi – rievoca il presidente Rega – naturale che volesse giocare in porta. Ma in avanti aveva troppo talento per tenerlo tra i pali. È stato bravo ad essere determinato ma il suo fiuto del gol è assolutamente naturale ed io non ho mai avuto dubbi, neanche quando ha iniziato la sua carriera da allenatore. L’ho seguito sin da quando ha iniziato con i ragazzi della Roma ed è passato poi alla prima squadra. Poi la grande stagione a Catania ed adesso quella a Firenze. Lui è sempre stato molto tecnico, ha visione di gioco, diciamo che tra i nostri allenatori è quello più vicino al gioco del Barcellona».
Giocatore formidabile sin da bambino, Vincenzo era “corteggiato” da tutte le squadrette che partecipavano a tornei amatoriali. «Ma il mister ci impediva di giocare con altri squadre – ricorda Mimmo Alaia – una volta per partecipare ad un torneo a Pomigliano dovemmo trovare le borse che erano nascoste a casa e uscire senza farci vedere».
Un legame forte con la sua terra ed un’attenzione sempre viva. «Basta ricordare quanto ha detto sulla crisi della Fiat – conclude Aniello Rega – aver ricordato quanto è importante la fabbrica in cui ha lavorato il papà è segno di grande sensibilità. Vincenzo è un ragazzo serio, una persona speciale».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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