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Carratelli: “Che bello essere brutti e vincere”

A proposito di Cagliari, quant’è bello il Napoli “brutto”. Quello che non piace agli esteti, che non piace a quelli che guardano le partite pensando sempre al Barcellona e a quelli che ne sanno sempre una più di Mazzarri. Il Napoli “brutto” per quelli che hanno visto gli azzurri fare mirabilie in giornate di grazia e li vorrebbero sempre così, al massimo, come non riesce nemmeno alle grandi squadre. Quant’è bello il Napoli “brutto” che supera le lacune dell’organico, le assenze importanti, le giornate in affanno, il calo delle pedine decisive, la superiorità dell’avversario e anche i suoi stessi errori. Questo Napoli, il Napoli “brutto”, ha portato a casa tre vittorie e un pareggio battendo la Fiorentina, il Chievo e, l’altro ieri, il Cagliari, pareggiando a Catania grazie a De Sanctis e a un palo, cioè le partite peggio giocate ma ugualmente fruttifere. Questo Napoli, il Napoli “brutto” che fa storcere il naso ai tifosi (sapientoni e competenti), non ha  certo l’aplomb delle grandi squadre che domano diversamente le difficoltà ma vivaddio non molla, resta in piedi, scippa risultati ed ora, bel gioco o brutto gioco, è a due punti dalla super Juve, ha sorpassato l’Inter delle dieci vittorie consecutive, tiene a bada la Fiorentina accreditata del più bel gioco del campionato. Vogliamo storcere il naso? Tutti sappiamo che la “base” che esalta i nostri top-player è una “base operaia”, di onesti pedatori, di giocatori non eccelsi, un gruppo che il magistero maniacale di Mazzarri ha portato oltre i suoi limiti. Perché voler vedere il Napoli diverso da quello che è, pretendere che sia quello che sogniamo? Perché non meravigliarsi, invece, e applaudire una squadra che sa andare oltre i suoi meriti  effettivi? Non è tempo di grande calcio. Anche all’estero i ricchi piangono. In Champions non c’è più una formazione spettacolare, imbattibile, mattatrice. Tranne poche e sempre più rare eccezioni, sono in molti a fare calcio con i fichi secchi. Dov’è più la super Juve dell’anno scorso, angustiata oggi dagli impegni raddoppiati pur potendo allestire un paio di formazioni competitive? Tutti i media la comprendono, la giustificano, l’aiutano: povera Juve fra campionato ed Europa. Non abbiamo avuto per il Napoli la stessa attenzione. Mettiamo nel conto anche questo. Siamo soli, in una città che del resto è all’ultimo posto della considerazione nazionale. Scippiamo risultati con la fatica e la dedizione. Altri hanno scorciatoie favorevoli,  sicuramente per un prestigio e una storia superiori, più concretamente per un “peso politico” indiscutibile. Dobbiamo ancora arrivare a questi  livelli, e chissà se ci arriveremo mai, noi del Sud piagnone, senza sceicchi e “ricchi scemi”. C’è voluto Maradona per ottenere un po’ di rispetto e qualche simpatia. Ma con Diego non è che abbiamo vinto sette scudetti negli anni della sua permanenza a Napoli e il “peso politico” della società ha aiutato a vincere due campionati. Ha detto giustamente Pulga a Cagliari: «Il Napoli ha  badato soltanto a non farci giocare». Viva il Napoli formica e non cicala, un Napoli umilmente all’italiana, tutti dietro la linea della palla, come si conviene quando il vento non spira a favore e Mazzarri stesso deve rinunciare alla sua “spinta” offensiva. Che poi la modestia (senza offesa) di molti azzurri possano fare più brutte le partite brutte non lo nascondiamo. Ma a Napoli siamo supercritici e incontentabili. Altrove, con tutti i media al fianco, fanno quadrato attorno alle loro squadre. Consideriamo il Napoli per quello che è, un club che senza i pesanti passivi delle grandi società, beneficiate da ricchi presidenti pronti a ponderose ricapitalizzazioni, si mantiene di riffe o di raffe al loro livello da quattro anni. Puntare allo scudetto e fare una squadra da scudetto richiede tempo, pazienza, fortuna, un ciclo continuo di colpi di mercato e un ambiente, non è quello napoletano, adeguato (ricco e “protetto”). Il passo è lungo da poveri pescatori a ricchi marinai.

Fonte: Il Roma

La Redazione

M.V.

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