Trentacinque anni di attività e non sentirli. Vecchia scuola, quella fatta di lavoro, sudore e risultati. Parliamo di Salvatore Carmando (nella foto), storico fisioterapista del Napoli che dal 2009 ha annunciato l’addio alla bandiera azzurra. Di ritiri ne ha vissuti a decine. Presidenti, allenatori e giocatori diversi ma sempre con lo stesso obiettivo: lavorare e sudare. «È l’occasione adatta per recuperare la condizione fisica. Si ristabilisce il contatto con il proprio corpo dopo un periodo di pausa ed è fondamentale per espellere quelle tossine accumulate durante la stagione» commenta il fisioterapista che vede nel ritiro una fase cruciale per il buon andamento della stagione. Allenarsi bene, conoscere i nuovi compagni e coltivare il feeling con lo staff tecnico sono le fondamenta di un metodo di lavoro che potrebbe far fiorire i frutti nei mesi successivi. «Anche quando un giocatore si unisce al gruppo in un secondo momento, se è un professionista, riesce ad integrarsi facilmente se al primo posto c’è impegno e serietà – chiarisce Carmando responsabilizzando anche il ruolo del calciatore – Le condizioni atmosferiche possono agevolare la preparazione ma se c’è la giusta concentrazione non c’è clima che possa compromettere una tabella di lavoro seguita alla lettera». Oggi, però, i ritiri sono vissuti diversamente da qualche anno fa. Le squadre portano al loro seguito centinaia di tifosi e c’è un marketing diverso del comune che ospita la squadra, come ammette lo stesso fisioterapista ex Napoli: «Prima il ritiro lo pagava la società, oggi invece in tutto o in parte è sovvenzionato dagli sponsor». Legittimo è il dubbio se questo business possa in qualche modo distrarre il gruppo e comprometterne la preparazione, Carmando però elimina ogni ombra: «Quando il gruppo lavora la concentrazione è sempre alta. Le distrazioni le avverte chi è all’esterno, ma chi è li per prepararsi non avverte nessuna pressione. Basti pensare – continua il fisioterapista – che non ricordo in modo particolare nessuno di ritiri fatti. Ero pienamente assorto nel mio lavoro che vivevo chiuso nella realtà del lavoro ed avevo pochissimo tempo per notare le differenze di un posto rispetto all’altro. Non è una vacanza ma un posto come un altro dove ritrovarsi e riprendere a lavorare con la giusta dedizione».
Fonte: Il Roma
La Redazione
M.V.
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