Gli occhi cercano risposte: e però, in quegli sguardi liberi d’ogni vena malinconica, c’è un velo intollerabile di mistero, un interrogativo che sorge meccanico, la ricerca d’un perché. Domani è un altro giorno e non c’è verso d’ignorarne i contenuti, di sistemarsi dinnanzi al crocevia ed aspettare che la monetina lanciata in aria dal destino indichi il percorso: testa o croce, dentro o fuori, esserci o non esserci? Si gioca: ed in quell’ora e mezza ch’è Napoli-Bologna, ma prim’ancora in una vigilia dal retrogusto indecifrabile, c’è un uomo che se ne sta rinchiuso nei propri pensieri sparsi, in quella serenità ch’è figilia autentica della propria onestà intellettuale e professionale, insufficiente però a deciderne la sorte, appesa alle interpretazioni altrui. Napoli-Bologna è lo spartiacque d’una esistenza infilata da un bel po’ nel tritacarne, la rappresentazione ultima d’un tormento che Paolo Cannavaro domina con padronanza da mesi e che però stavolta va allo scontro diretto ma in campo neutro e senza la possibilità di provare a sfidarlo con un tackle o con un contraddittorio: è un match impari, insolito e singolare, in cui la legittima difesa d’un leader al di sopra di qualsiasi sospetto è concessa per delega al proprio avvocato ed (innanzitutto) alla volontà della «corte».
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