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Cannavaro torna da leader

Il capitano azzurro vuole riscattarsi dopo il lungo stop fprtato

Il trasferimento dall’albergo al campo. E’ là, sul pullman che porta alla partita, che si dice cominci l’esercizio vero della concentrazione. E poi lo spogliatoio. E il rituale della “vestizione”. Stessi gesti. Sempre quelli. Lenti, misurati, amici. Eppure stavolta sarà tutt’altra cosa per Paolo Cannavaro. Quel viaggio breve in bus sarà lungo quanto quello che porta dall’inferno alla felicità. Dall’inferno dell’infamia, dall’onta d’un mese vissuto da furfante del pallone al rinnovo della patente d’onestà. Lui che s’era sempre proclamato innocente e che non era stato mai creduto. D’accordo, il capitano c’era già a Firenze, ma con mossa intelligente e neppure troppo sorprendente, in verità, Mazzarri gli aveva prenotato solo la panchina. Stavolta, invece, sarà in campo. E col suo orgoglio nato alla Loggetta, a due passi dallo stadio azzurro, mentre infilerà la maglia, ripeterà a se stesso lo slogan della sua difesa: « Chi non ha fatto nulla non patteggia ». Una vendetta personale sul malaffare, sulle malelingue e sulla giustizia imperfetta, anche se nessuno gli risarcirà mai quel mese d’allenamenti e di tormenti e di partite, una di coppa Italia e tre di campionato, giocate da antico tifoso in curva B. Un ritorno al passato pure quello. 

SECONDA CASA – “Bentornato capitano”, dunque. Così l’accoglieranno oggi i napoletani del Tardini. Ricomincia da Parma, infatti, la vita di calciatore trasparente del capitano azzurro. Il quale, San Paolo escluso si capisce, avesse potuto scegliersi lo stadio del rientro avrebbe scelto proprio quello. Perché Parma è stata e resta la sua seconda casa, la sua seconda città, la sua seconda squadra. Non per nulla fu proprio su quel prato che in un pomeriggio del Duemila mise piede per la prima volta in A, sostituendo, manco a dirlo, il fratello Fabio che di quel Parma era già protagonista e che in quel Parma già studiava da Campione del mondo e da Pallone d’oro. 
LEGAME FORTE – A Parma Paoluccio Cannavaro ci arrivò, come dire? per fare un favore al Napoli. Sulla scia di altri grandi e ben pagati trasferimenti: da Zola a Crippa al fratello Fabio, ci arrivò assieme a De Lucia, allora giovane e promettentissimo portiere. Questione d’amicizia, di mutuo soccorso se si vuole, tra i due club del tempo. Ma la sua voglia di Napoli non s’è mai annacquata negli anni di crescita e di consacrazione. Cosicché, nel 2006, quando il suo contratto stava per scadere, preferì il Napoli in B ai richiami di altre sirene delle A. Strano, è vero, che un professionista del pallone anteponga il cuore e il tifo alle pur legittime ambizioni del portafoglio e del conto in banca, ma per Cannavaro così fu. E forse pure per questo il legame tra la gente e il capitano è forte, anche se di critiche – a volte anche feroci – ne ha avute pure lui, com’è sempre stato e sarà destino d’ogni napoletano che giocherà con la maglia azzurra addosso. 
«A TE LA FASCIA» – Torna, dunque, Cannavaro. E, simbolicamente, all’ingresso dello spogliatoio troverà Hamsik a rendergli la fascia di capitano messa al braccio quando non c’è stato lui. « Perché – ha già anticipato lo slovacco – è lui il nostro vero capitano ». Che probabilmente è anche un modo semplice e elegante per mettere fine ad ogni discorso di passaggio di quella fascia altrove. Cosa, alla quale, è ovvio, Paolo Cannavaro non ha mai pensato. Per la testa, infatti, il capitano ha altro: vuole solo riprendere il comando dell’operazione primo posto. Perché, lui che è napoletano e che, per giunta, negli ultimi tempi ha vissuto da vicino le emozioni e le speranze dei tifosi, sa bene che chi è secondo un obbligo ce l’ha: provare a rincorrere il sogno sino in fondo. 
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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